Di navi, sbarchi e
approdi.
L’accoglienza italiana
ai boat people vietnamiti, quarant'anni fa:
una lezione di civiltà per il nostro tempo.
Giovedì 21 febbraio 2019 è stato
presentato a Roma, presso il complesso del San Gallicano a Trastevere, il
volume di Valerio De Cesaris Il grande
sbarco. L’Italia e la scoperta dell’immigrazione (Guerini e Associati,
Milano 2018) sull’arrivo in Italia, l’8 agosto 1991, di circa 18.000 albanesi,
partiti da Durazzo a bordo della nave Vlora
e, attraversato il canale di Otranto, giunti nel porto di Bari. La ricerca di
De Cesaris, docente di Storia contemporanea all’Università per Stranieri di
Perugia, percorre agilmente la vicenda approfondendo le ragioni di quell’esodo
e di quello “sbarco”, le reazioni in Italia e le ripercussioni che l’evento
provocò nell’opinione pubblica e nel mondo politico italiano di quegli anni. Un
aspetto affrontato nel volume è
costituito dalla “scoperta” dell’immigrazione in Italia nel triennio 1989-1991,
segnato dalla tragica morte a Villa Literno (Caserta) di Jerry Essan Masslo,
giovane rifugiato sudafricano, il 24 agosto 1989: è a partire dall’impatto
emotivo e mediatico generato da quell’evento che prenderà le mosse una riflessione
politica sul fenomeno migratorio che condurrà nei giorni 4-6 giugno 1990 alla
prima «Conferenza
Nazionale dell’immigrazione» promossa dal vice presidente del
Consiglio Claudio Martelli e alla legge che porta il suo nome.
Alla presentazione hanno preso
parte in qualità di relatori Ferruccio Pastore, del «Forum internazionale ed
europeo di ricerche sull’immigrazione», Alessandro Porro di «SOS
Méditerranée»
e Daniela Pompei, Docente in Scienze Sociali all’Università Roma Tre e responsabile
della Comunità di Sant’Egidio per i servizi agli immigrati, rifugiati e Rom.
Quest’ultima, protagonista fin dai primi anni ’80 dell’impegno a favore dei
migranti e dei rifugiati in Italia, ha ricordato fra l’altro l’amicizia con
Jerry E. Masslo, ospitato da Sant’Egidio dopo il suo arrivo all’aeroporto di
Fiumicino ed accolto nella Scuola di lingua e cultura italiana diretta dalla
Comunità nei locali annessi alla mensa per poveri in via Dandolo, nel quartiere
romano di Trastevere. Chi scrive ebbe allora l’occasione di conoscere Jerry
perché insegnante volontario in quella stessa scuola d’Italiano per stranieri e
rifugiati, giunti in Italia perlopiù dall’Africa e dall’Asia.
Accanto al toccante intervento di
Daniela Pompei, che ha fra l’altro ricostruito il ruolo giocato da Sant’Egidio
anche nella vicenda dei profughi albanesi e rimarcato l’urgenza di scrivere la
storia dell’immigrazione in Italia, Alessandro Porro ha ripercorso con meticolosità
la vicenda della nave Aquarius, a
partire dal salvataggio in mare di 629 migranti sino al rifiuto da parte delle
autorità italiane e maltesi di fare attraccare la nave in un porto sicuro.
Due navi, la Vlora e l’Aquarius,
accomunate dalla presenza a bordo di donne, uomini e bambini in cerca di un
futuro migliore, che seppur a distanza di ventisette anni sono però, afferma De
Cesaris, legate da un filo rosso, “quello di una questione immigrazione
eternamente irrisolta, vissuta come un’emergenza, con toni sempre allarmistici”
(Il grande sbarco, p. 22).
Proprio un paio di giorni prima,
il 19 febbraio, si era conclusa la vicenda della votazione in seno alla Giunta
per le elezioni e le immunità del Senato che ha respinto la richiesta di autorizzazione
a procedere del tribunale di Catania contro il ministro Matteo Salvini per il
caso della nave Diciotti. Il ministro
dell’Interno era indagato per i reati di sequestro persona aggravato ed abuso
di potere, per aver impedito per cinque giorni, dal 20 al 25 agosto, ai 177
migranti (perlopiù eritrei e somali) a bordo del pattugliatore d’altura della
Guardia costiera italiana U. Diciotti
di scendere dalla nave, ancorata nel porto di Catania. La provenienza dei
migranti dall’Eritrea e dalla Somalia li faceva rientrare a buon diritto nella
categoria dei rifugiati bisognosi di protezione internazionale e nelle
condizioni di richiedere l’asilo politico. Preceduta dalla consultazione degli
iscritti alla piattaforma Rousseau del Movimento Cinque Stelle, la votazione
della Giunta del Senato ha visto la richiesta di rinvio a giudizio del ministro
dell’Interno respinta con 16 voti contrari e 6 a favore. La decisione della
Giunta andrà ratificata o meno da un voto del Senato, che dovrà pronunciarsi
entro un mese dalla votazione, entro il 24 marzo. L’esito sembra scontato.
Altre navi: il soccorso italiano ai boat
people vietnamiti.
Il 26 gennaio scorso è scomparso
nella sua Varese, dov’era nato 85 anni prima, Giuseppe Zamberletti, considerato
il “padre fondatore” della protezione civile italiana. Politico e parlamentare democristiano
dal 1968, fu più volte sottosegretario all’Interno con delega alla sicurezza e
alla protezione civile. Dopo aver gestito le emergenze dei terremoti in Friuli
(1976) e in Irpinia (1980), fu nominato ministro per il Coordinamento della
Protezione Civile sotto il secondo governo Spadolini, incarico che ricoprì nuovamente
fra il 1984 e il 1987. In seguito all’emozione e al clamore mediatico suscitati
dal mancato salvataggio del piccolo Alfredo Rampi, terrà a battesimo il nuovo
Dipartimento della Protezione Civile, istituito il 22 giugno 1982.
La figura di Giuseppe Zamberletti
resta altresì legata alla più grande operazione di salvataggio in mare mai operata
dall’Italia. Nell’estate del 1979, infatti, su delega del Primo ministro Giulio
Andreotti, Zamberletti si occupò del coordinamento delle operazioni di ricerca
in mare e di salvataggio da parte della Marina militare italiana di 892 boat people vietnamiti, soccorsi nelle
acque del Mar Cinese meridionale e condotti felicemente in salvo in Italia
nell’agosto di quell’anno.
Chi erano i boat people? Il 30 aprile 1975 l’esercito nordvietnamita entra a
Saigon, mentre gli ultimi americani fuggono dalla città. Il Vietnam del Sud
viene annesso alla Repubblica socialista del Viet Nam, che il 2 luglio 1976
proclama la riunificazione del Paese. La conquista del Sud da parte dei
Vietcong comunisti provocherà nel triennio 1975-1978 l’esodo di circa 2.000.000
di vietnamiti (di cui 600.000 sono cattolici), che fuggono via mare, spesso su
piccole imbarcazioni o vere e proprie zattere. Vengono chiamati boat people, la “gente delle barche”.
Molti di loro muoiono in mare a causa delle condizioni climatiche avverse e
delle tempeste del Mar Cinese meridionale, o perché attaccati e saccheggiati
dai pirati. Rifiutati dalle navi di passaggio o rigettati in mare aperto una
volta giunti sulle coste della Malesia o della Thailandia, moltissimi non
approderanno mai in nessun porto. È stato calcolato in mezzo milione il numero
di coloro che hanno perso la loro vita in mare. Altri, soprattutto i primi ad
esser fuggiti, saranno accolti nei campi profughi di Hong Kong, Malesia, Thailandia,
Indonesia, Filippine, o in Nuova Guinea e Australia.
Nel dicembre 1978, nel tentativo di
rispondere all’emergenza umanitaria nel Sud-Est asiatico, l’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) convoca a Ginevra i rappresentanti
di trentacinque paesi e delle organizzazioni internazionali di assistenza:
l’obiettivo è quello di suscitare una maggiore generosità nell’accoglienza ai
profughi vietnamiti, ai quali si sono aggiunti molti cambogiani fuggiti a causa
delle atrocità del regime dei Khmer Rossi (1975-1978) e in seguito alla
“liberazione” della Cambogia da parte del Vietnam, iniziata proprio nel
dicembre 1978 e culminata nella presa della capitale Phnom Penh, il 7 gennaio
1979. I risultati del summit ginevrino sono deludenti: vengono raccolti 17
miliardi di lire e garantita l’apertura delle frontiere, ma solamente per 5.000
profughi.
La Chiesa si mobilita in favore
dei boat people. In Italia la CEI
lancia un appello e la Caritas Italiana coordina le diverse iniziative di
associazioni, parrocchie e gruppi di ispirazione cristiana. Diverse missioni
sono compiute da delegati delle Caritas e di altre realtà cattoliche italiane
nei campi profughi di Malesia e Thailandia. Nel giugno 1979 è Giovanni Paolo II
a dare respiro mondiale agli appelli lanciati dai vescovi della Malesia, Paese
che ha cominciato a rifiutare il soccorso nelle proprie acque territoriali e a
rigettare i profughi al largo. Al termine dell’udienza di mercoledì 20 giugno, il
papa rivolge un accorato appello alla solidarietà internazionale verso “il
dramma che sta accadendo nelle terre e sui mari del sud-est asiatico, e [che]
coinvolge centinaia di migliaia di nostri fratelli e sorelle”.
È in questo clima che prende
forma la decisione da parte del Governo
italiano di intraprendere una missione umanitaria nelle acque del Mar Cinese
meridionale. Tre navi della Marina Militare, gli incrociatori Andrea Doria e Vittorio Veneto con la nave da rifornimento Stromboli partono nei giorni 4 e 5 luglio 1979 dai porti di La
Spezia e Taranto alla volta di Singapore, dove fanno scalo, e del Golfo del
Siam. “La più bella crociera della nostra Marina”, come ebbe a definirla
l’allora ministro della Difesa, Attilio Ruffini, si conclude il 20 agosto con
il salvataggio di 892 profughi fra uomini, donne e bambini.
A bordo dei due incrociatori salgono
anche due sacerdoti vietnamiti, P. Filippo Tran Van Hoai e P. Domenico Vu Van
Thien (mentre uno studente, Domenico Nguyen Hun Phuoc, si imbarca sulla nave
appoggio Stromboli) per fare da
interpreti e raccogliere le richieste dei profughi. Un messaggio viene
preparato e rivolto alle imbarcazioni raggiunte:
«Le navi vicine a voi sono della Marina Militare dell’Italia e sono
venute per aiutarvi. Se volete, potete imbarcarvi sulle navi italiane come
rifugiati politici ed essere trasportati in Italia. Attenzione, le navi vi
porteranno in Italia, ma non possono portarvi in altre nazioni e non possono
rimorchiare le vostre barche. Se non volete imbarcarvi sulle navi italiane
potete ricevere subito cibo, acqua e infine assistenza e medici. Dite cosa
volete fare e di cosa avete bisogno».
Grazie alle frequenti ricognizioni
degli elicotteri, vengono individuate alcune imbarcazioni alla deriva. Il 26
luglio una prima imbarcazione carica di profughi viene raggiunta al largo delle
coste malesi. Altre barche sono segnalate nei pressi di una piattaforma
petrolifera della Esso. In tutto fra il 26 ed il 31 luglio la Marina compie quattro
salvataggi per un numero complessivo di 907 profughi soccorsi, fra cui diverse
donne incinte e 125 bambini. Alcuni dei profughi, malati o incapaci di
affrontare il viaggio di ritorno, saranno fatti sbarcare per cure a Singapore e
raggiungeranno l’Italia nei mesi successivi.
Le tre navi giungono infine a
Venezia verso le ore 10 del 20 agosto 1979. Ad attenderle c’è una grande folla
di curiosi, giornalisti, autorità locali e nazionali. Fra queste, accanto
all’on. Zamberletti, il patriarca di Venezia card. Marco Cé, allora
vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, e il sindaco della città
Mario Rigo.
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L'arrivo a Venezia il 20 agosto 1979 |
Nei giorni e mesi successivi i
profughi vietnamiti vengono accolti da comunità religiose, parrocchie o singole
famiglie che si sono rese disponibili all’accoglienza. Diverse realtà e
movimenti, fra cui il PIME, come numerosi ordini religiosi femminili
e maschili offrono alloggio o impiego ai nuovi arrivati. Nuove missioni sono
realizzate nei campi profughi di Malesia e Thailandia, come quello vastissimo
di Khao I Dang, al confine con la Cambogia.
Fra il 1978 e il 1980 più di 3.000 rifugiati vietnamiti, cambogiani e laotiani troveranno sul suolo italiano un “porto sicuro” ed un’assistenza premurosa grazie
all’attività di accoglienza della Chiesa nelle sue diverse articolazioni. Alcuni
di quei rifugiati, vietnamiti d’etnia khmer o cambogiani, giunsero nella
seconda metà degli anni ’80 a Roma e studiarono la lingua italiana nella Scuola
di lingua e cultura italiana della Comunità di Sant’Egidio, trovando lavoro nei
tanti ristoranti cinesi della Capitale.
Come si è detto, in questo 2019
ricorre il 40° della spedizione della Marina italiana nei mari del Sud-Est
asiatico. Allora gli “interessi nazionali” spinsero il Governo italiano a
cercare la “gente delle barche” fin nelle acque del Mar della Cina. È una
vicenda di cui essere orgogliosi, in un clima politico e culturale, quello dei
nostri giorni, che spinge tanti a ritenere necessario respingere in mare i boat people odierni, spesso in fuga da Paesi
dittatoriali come l’Eritrea o l’Afghanistan o devastati dalla guerra e dal
terrorismo come la Siria. Fino ad impedire loro di scendere da una nave
italiana e di trovare approdo in un porto italiano, come nel caso della Diciotti.
Molti di quei profughi indocinesi
di quaranta o trentacinque anni fa, divenuti rifugiati politici in Italia, si
sono poi trasferiti in altri Paesi; altri hanno invece messo radici nel nostro
Paese e si sono integrati nelle realtà produttive del Nord Italia. In alcuni
casi hanno creato centri d’aggregazione sociale e religiosa, cristiana e
buddhista. Hanno figli italiani. Hanno stretto amicizie e sono inseriti nel
tessuto sociale di piccoli e grandi centri. È una bella storia, d’accoglienza e
d’integrazione, che va raccontata.
©Fabio Tosi
(pubblicato parzialmente su www.notizieitalianews)