Studi Indocinesi

Studi Indocinesi

lunedì 14 gennaio 2019

Cina-Cambogia: il premier cambogiano Hun Sen in visita a Pechino dal 20 gennaio

Cina-Cambogia: premier cambogiano Hun Sen in visita a Pechino dal 20 gennaio


Pechino, 14 gen 12:00 - (Agenzia Nova) - Il primo ministro della Cambogia Samdech Techo Hun Sen si recherà in visita ufficiale in Cina dal 20 al 23 gennaio a seguito dell'invito del premier cinese Li Keqiang. Lo ha annunciato oggi il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying. L'ultima visita a Pechino del premier cambogiano Hun Sen risale allo scorso giugno ed era avvenuta per discutere lo stato delle relazioni bilaterali con alti esponenti del governo cinese. In quell'occasione, Hun Sen aveva incontrato il consigliere di Stato e ministro della Difesa cinese Wei Fenghe, cui aveva ribadito l'importanza attribuita da Phnom Penh all'amicizia tra i due paesi e la gratitudine per il sostegno della Cina allo sviluppo socioeconomico e delle capacità difensive cambogiani. Hun Sen si era profuso in elogi per i successi conseguiti dalla Cina sotto la leadership del presidente Xi Jinping.


Il primo ministro Hun Sen, criticato dalla comunità internazionale per presunte violazioni della libertà di stampa e dei diritti umani, aveva però incassato il pieno sostegno della Cina nelle elezioni generali del 29 luglio scorso, che lo hanno consacrato alla guida del paese. Pechino ha infatti contestato apertamente i paesi occidentali, esortandoli a garantire ai paesi più vulnerabili della regione “investimenti, non lezioni”. La Cina sta praticando questa dottrina con particolare convinzione proprio in Cambogia, dove sta finanziando la costruzione di vaste infrastrutture sportive che dovrebbero ospitare i Giochi del Sud-est Asiatico del 2023.

Lo stadio, dal costo approssimativo di 157 milioni di dollari e dalla capienza programmata di 55 mila posti, è il primo e più importante progetto infrastrutturale della cosiddetta “Città dell’amicizia Cambogia-Cina”: un centro che sorgerà 15 chilometri a nord della capitale Phnom Penh, in un’area semideserta, e che includerà anche centri commerciali, un campo da golf e un parco safari. I lavori di costruzione dello stadio sono iniziati alla fine del 2016, e il cantiere, che è vietato riprendere, pare occupare lavoratori cinesi. L’intero progetto è finanziato da Pechino, come dichiarato orgogliosamente dal premier Hun Sen, affermando che la sovvenzione per la realizzazione dello stadio è la più consistente mai concessa dalla Cina per un progetto infrastrutturale all’estero. Il progetto prevede anche la realizzazione di un complesso residenziale di lusso, destinato ad ospitare facoltosi cittadini cinesi.

La Cambogia è dipesa per un quarto di secolo dagli aiuti economici dell’Occidente. Negli ultimi anni, però – proprio in concomitanza con la decisa svolta autocratica del premier Hun Sen – Phnom Penh è divenuta uno dei principali recipienti di investimenti cinesi, come evidenziato da un rapporto del dipartimento di Stato Usa, che riporta dati del Consiglio per lo sviluppo della Cambogia (Cdc). Tra il 2010 e il 2016, la Cina ha investito 9 miliardi di dollari nella Cambogia, che è divenuto così uno dei principali destinatari degli aiuti economici di Pechino nel mondo, seconda soltanto alla Malesia. Nel 2016, Pechino ha operato nel paese più investimenti di quanto abbia fatto il Regno stesso, diventando così la prima fonte di capitali della Cambogia in assoluto.

La Cina si è avvicinata a Phnom Penh anche perché posta di fronte all’ostilità di Vietnam e Filippine per le dispute relative alla sovranità sul Mar Cinese Meridionale; Pechino ha scorto nella Cambogia, membro dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico (Asean), una “leva” ideale per impedire l’approvazione di una mozione unanime di quell’organizzazione contro l’espansionismo marittimo cinese. In precedenza Pechino ha scorto la stessa opportunità nel Myanmar, sempre più isolato sul piano internazionale per le gravi violenze contro la minoranza musulmana rohingya. Alla Cambogia, la Cina ha promesso ingenti investimenti infrastrutturali, sotto “l’ombrello” dell’ambiziosa iniziativa della nuova Via della seta. In cambio del suo deciso orientamento pro-cinese, Hun Sen ha ricavato soprattutto un potente alleato politico, grazie al quale ha potuto operare la brusca stretta autoritaria culminata nello scioglimento del Cnrp, il principale partito di opposizione democratica del paese.

mercoledì 9 gennaio 2019

Preah Vihear, Cambogia

Preah Vihear, Cambogia

Un osservatore privilegiato, Francesco Bandarin (Unesco), scruta il Patrimonio mondiale

da Il Giornale dell'Arte numero 393, gennaio 2019

Bassorilievo con il mito della burrificazione del mare di latte (Kshirasagara manthana)
Mille anni fa, al tempo della massima estensione dell’Impero Khmer nel Sud-Est asiatico, i sovrani della grande città di Angkor decisero di costruire un importante santuario in una zona che per secoli era stata utilizzata da piccoli eremitaggi monastici, in cima a un promontorio roccioso che sovrasta, a 700 metri di quota, tutta la grande pianura cambogiana. Fondato nel IX secolo dal figlio del re Jayavarman II, il sito di Preah Vihear («monastero sacro» in lingua Khmer) venne gradualmente trasformato in un importante luogo di pellegrinaggio, dedicato alla divinità induista Shiva (e anche del dio Vishnu). Negli anni tra il 1005 e il 1050 d.C. il re Sûryavarman I fece costruire la parte centrale del santuario, che venne poi completato nel XII secolo da Suryavarman II.

Il sito, con la sua struttura perfettamente leggibile e la vista grandiosa sulla pianura sottostante, è una testimonianza eccezionale della capacità della cultura Khmer di modellare un vasto territorio e di adattare l’architettura al paesaggio. La sua posizione eccezionale, sulla vetta del promontorio, lo ha protetto nel corso dei secoli da devastazioni e distruzioni. Il santuario, tuttavia, corse un grave pericolo alla fine del XX secolo, quando divenne una base militare dei Khmer rossi, che lo occuparono fino alla fine del loro potere, nel 1997, lasciando poi all’interno un grande numero di mine che impedirono per anni l’accesso al monumento.

Il complesso è disposto lungo un asse monumentale di circa 800 metri in leggera salita verso la cima del promontorio dove si trova il santuario centrale. Il percorso, che corrisponde a un itinerario sacro, è ritmato da 5 grandi porte monumentali (gopura). Il percorso è attrezzato con scalinate e rampe, lungo le quali si incontrano cisterne per l’acqua, gallerie, sale ed edifici monastici.

Il santuario centrale, che si trova sul ciglio del promontorio, è formato da due sistemi di gallerie disposte a forma di chiostro, una tipologia che probabilmente ha influenzato, più tardi, quella del celebre tempio di Ankgor Wat, e da alcuni edifici laterali. Anche se l’accesso al santuario avviene oggi dal lato tailandese, tradizionalmente era possibile arrivare dalla pianura attraverso una lunga scalinata che supera, con oltre 3mila gradini, un dislivello di quasi 500 metri. A questa struttura, che è in condizioni di degrado, oggi è stata affiancata una scalinata in legno. Le strutture architettoniche del santuario sono realizzate principalmente in grès, pietra estratta nella zona a seguito di un’importante operazione di livellamento della montagna, che ha consentito di realizzare il percorso sacro. Alcune parti del complesso, tuttavia, sono state costruite con materiali portati dalla pianura, quali mattoni cotti, travi in legno o elementi di copertura. Grande importanza hanno anche gli apparati decorativi scultorei. Su moltissimi timpani e travi si trovano scolpiti bassorilievi con scene della mitologia induista, come per esempio il celebre mito cosmologico della burrificazione del mare di latte (il Kshirasagara manthana).

Nonostante le ingiurie del tempo e alcune manomissioni subite durante il recente conflitto, il sito ha conservato un elevato grado di autenticità e di integrità, il che ha permesso nel 2008 la sua iscrizione nella lista del Patrimonio mondiale Unesco. Tuttavia, importanti lavori di restauro e di consolidamento sono necessari per impedire ulteriori crolli delle strutture, dovuti a terremoti e alla fatiscenza dei materiali. Inoltre, un rischio importante per la conservazione del sito è rappresentato dalla tensione politica che è esistita a lungo, per il controllo della zona, tra la Cambogia e la Thailandia, il cui confine si trova a poche decine di metri di distanza dall’ingresso al monumento. Nonostante il sito sia legato indiscutibilmente alla cultura cambogiana, in epoca coloniale un accordo sui confini tra il regno del Siam e la Francia, allora potenza occupante della Cambogia, attribuì la sovranità della zona del santuario alla Thailandia. Dopo la fine della colonizzazione, la Corte di Giustizia dell’Aia accolse il ricorso della Cambogia, a cui attribuì la sovranità del sito, purtroppo senza definire con precisione i confini. Questo creò una forte tensione tra i due Paesi, al punto che, dopo l’iscrizione del sito nella lista del Patrimonio mondiale, avvennero anche scontri armati, con vittime e danni al santuario. Per fortuna oggi si è trovato un modus vivendi pacifico, ma in tutta la zona esiste una forte presenza militare, a testimonianza delle difficoltà che molti siti in zone contese incontrano anche quando sono protetti dalle convenzioni internazionali.

Francesco Bandarin è consigliere speciale dell’Unesco per il patrimonio.
Le opinioni qui espresse sono dell’autore e non impegnano l’Unesco
Francesco Bandarin, da Il Giornale dell'Arte numero 393, gennaio 2019