Studi Indocinesi

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domenica 31 marzo 2019

Philip Alston (Onu): l'attuale politica filocinese non migliora la vita dei laotiani

Laos: dai mega-progetti cinesi ‘poco impiego e tanti debiti’

Inviato speciale Onu critica il governo: “Spunta caselle e migliora numeri, non le vite dei laotiani”. L'80% dei laotiani viva con meno di 2,5 dollari al giorno. Oltre il 20% dei bambini sono sottopeso, il 9% soffre di malnutrizione e un terzo è rachitico.




Vientiane (AsiaNews/Agenzie) – Gli imponenti progetti cinesi della Belt and Road Initiative (Bri) e le vaste concessioni per sfruttare terra e risorse generano pochi posti di lavoro e troppi debiti: l'attuale strategia del regime socialista laotiano favorisce un’élite facoltosa e aumenta le disuguaglianze economiche con le fasce più povere della popolazione. Lo afferma Philip Alston, inviato speciale delle Nazioni Unite (Onu) per povertà e diritti umani. Secondo l’esperto australiano, Vientiane dovrebbe concentrarsi meno su progetti finanziati da Pechino – come dighe e ferrovie – e devolvere maggiori risorse a bambini ed emarginati.

Alston ha rilasciato queste dichiarazioni due giorni fa, in una conferenza stampa video-trasmessa dalla capitale laotiana. Il funzionario Onu ha chiuso così una missione di 11 giorni (18-28 marzo) in diverse regioni del Paese. La visita ha toccato Vientiane e le province di Champasack, Xienkuang, Houaphanh e Attapeu, dove lo scorso anno è avvenuto il tragico crollo di una diga. Alston ha incontrato funzionari governativi di vari livelli, leader di villaggio, lavoratori, agricoltori e commercianti, per raccogliere informazioni sulla loro vita quotidiana.
Incastonato tra Thailandia, Cina, Myanmar e Cambogia, negli ultimi anni l'economia del piccolo Laos è cresciuta in modo rapido. I benefici di questa crescita non hanno però raggiunto tutta la popolazione, in gran parte ancora rurale. Si stima che l'80% dei laotiani viva con meno di 2,5 dollari Usa al giorno e sia a rischio di povertà. Pur riconoscendo i progressi economici del Paese, Alston critica il governo accusandolo di “limitarsi a spuntare caselle e migliorare i numeri, piuttosto che assicurare cambiamenti significativi alle vite dei laotiani”.
L’inviato speciale evidenzia che molti progetti per infrastrutture e piantagioni sottraggono terra ai residenti locali, forzando il loro reinsediamento. La maggior parte delle iniziative genera “pochi posti di lavoro e troppi debiti”, afferma. “Tali concessioni potenzialmente coprono qualcosa come il 40% del territorio nazionale e molte, se non la maggior parte, hanno prodotto pochissimi ritorni sul bilancio nazionale; entrate reali che possono essere spese per il benessere del popolo laotiano”.
Alston osserva che le donne del Laos sono in gran parte escluse dal processo decisionale e che le minoranze etniche – che costituiscono quasi la metà della popolazione – sono “gravemente private” di quasi tutte le misure di sviluppo, con redditi bassi e minore accesso all'istruzione e all'assistenza sanitaria. Oltre un quinto dei bambini laotiani sono sottopeso, il 9% soffre di malnutrizione “debilitante” o grave e un terzo è rachitico. Meno della metà è stato vaccinato. “Potreste non avere alcun interesse per i bambini, ma tutto quello che dovete sapere è che sono il futuro economico – conclude –. Non avrete una grande forza lavoro se quelle statistiche sono il vostro punto di partenza”.

(Tratto da www.asianews.it)

domenica 24 marzo 2019

Giovani spose per i cinesi dal Sud-Est asiatico: il caso del Myanmar

Tratta di donne dal Myanmar: giovani spose prigioniere in Cina



Gli uomini cinesi sono 34 milioni in meno rispetto alle donne. Questo alimenta il traffico di spose dai Paesi vicini. Myanmar, Cambogia e Laos sono tra le nazioni più colpite dal fenomeno. Negli ultimi cinque anni, circa 5mila birmane hanno subito matrimoni forzati; 2.800 sono state costrette a partorire.



Naypyidaw (AsiaNews) – Le autorità di Cina e Myanmar non riescono a fermare il brutale traffico, legato alla schiavitù sessuale, di giovani donne spesso adolescenti e a maggioranza cristiane dal Kachin – Stato birmano settentrionale dilaniato da decenni di conflitto civile. È quanto emerge dall’ultimo rapporto di Human Rights Watch (Hrw), organizzazione non governativa internazionale con sede a New York.
Pubblicato ieri, il documento afferma che le donne sono spesso indotte ad attraversare il confine verso la Cina in cerca di lavoro, o rapite e trattenute contro la loro volontà per essere vendute come “spose” di uomini cinesi. La maggior parte delle giovani tenute in ostaggio dalle famiglie cinesi sono tenute prigioniere e violentate. Quelle che riescono a fuggire, spesso sono obbligate a lasciarsi i figli generati con i loro aguzzini.
Come diretta conseguenza della politica del figlio unico, in Cina vi sono 34 milioni di maschi in più rispetto alle femmine. Questo alimenta il traffico di spose dai Paesi vicini, dove povertà e discriminazioni sociali rendono le donne più vulnerabili. Myanmar, Cambogia e Laos sono tra le nazioni più colpite dal fenomeno.
In Myanmar, conflitti etnici, confisca delle terre, trasferimenti forzati e violazioni dei diritti umani hanno innescato una migrazione di massa verso la Cina. Oltre 120mila persone sono state sfollate dagli scontri armati tra esercito governativo e organizzazioni etniche ribelli in Kachin e nel nord dello Stato di Shan – conflitto ripreso nel 2011. Nel solo Kachin vi sono più di 100 campi profughi.
Secondo un recente studio, pubblicato nel dicembre 2018 dalla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health in collaborazione con la Kachin Women’s Association Thailand, negli ultimi cinque anni circa 106mila donne migranti sono tornate in Myanmar. Più o meno 5mila rimpatriate hanno subito matrimoni forzati con uomini cinesi e 2.800 sono state costrette a partorire un figlio. Il 65% delle donne coinvolte in matrimoni forzati sono state trafficate attraverso un intermediario o un reclutatore.
Nel suo rapporto, Hrw ha intervistato 37 sopravvissute a tali crimini. Gli attivisti dichiarano che le donne sono state vendute a famiglie cinesi per l'equivalente di 3mila dollari Usa (4,59 milioni di kyat) ciascuna. Dodici delle intervistate avevano meno di 18 anni quando sono cadute vittime della tratta. La più giovane aveva 14 anni. Diceva che 22 di loro erano detenuti per un anno o più.
Spesso le donne vengono drogate e tenute prigioniere, lasciate in balia di famiglie con le quali riescono a malapena a comunicare. Heather Barr, autrice del rapporto, afferma che “la maggior parte di loro è stata rinchiusa in una stanza e violentata più volte, poiché le famiglie che le hanno acquistati volevano che rimanessero incinte”.
Tratto da asianews.it.

giovedì 21 marzo 2019

Il Laos è sempre più cinese: nel 2021 la nuova ferrovia collegherà Kunming a Vientiane in tre ore

Infrastrutture: ferrovia Cina-Laos completata per metà, fine lavori nel 2021


Vientiane, 21 mar 04:52 - (Agenzia Nova) - La linea ferroviaria di 414 chilometri che collegherà la capitale della provincia cinese di Yunnan, Kunming, alla capitale laotiana di Vientiane – un progetto dal costo stimato in 7 miliardi di dollari – è stata completa per metà, e dovrebbe divenire operativa nel dicembre 2021, in linea con il calendario ufficiale dei lavoro. Lo ha annunciato il direttore di Lao Railways, generale Somsana Ratsaphong. I treni che viaggeranno sulla linea ferroviaria raggiungeranno una velocità massima di 160 chilometri orari, riducendo il tempo di percorrenza tra le due città da tre giorni a sole tre ore. Il prezzo di un biglietto per l’intera tratta, ha detto Ratsaphong, partirà da 20 dollari.

Il progetto è parte dell’iniziativa cinese della Nuova via della seta, che punta a realizzare una vasta rete di infrastrutture e connessioni estesa dall’Asia a Europa e Africa. L’iniziativa ha raccolto investimenti stimati in 460 miliardi di dollari dalla sua inaugurazione, nel 2013. La linea ferroviaria Kunming-Vientiane dovrebbe unirsi in futuro a un altro progetto finanziato dalla Cina, quello di una nuova ferrovia Thailandese sino a Bangkok, e poi più a sud sino alla Malesia e a Singapore. Il governo cinese si è fatto carico del 70 per cento del costo della ferrovia Kunming-Vientiane, mentre il Laos, la cui economia è quasi interamente agricola, si farà carico del 30 per cento, tramite prestiti contratti con istituzioni finanziarie cinesi. La Cina è il primo investitore straniero del Laos, con 4,5 miliardi di dollari tra il 1989 e il 2016.

Il Laos continua però a scivolare nella cosiddetta “trappola del debito” cinese, mentre prosegue la sua corsa ad affermarsi come “batteria” del Sud-est Asiatico tramite la realizzazione di un gran numero di dighe idroelettriche. L’ultimo e più significativo progetto intrapreso dal paese è quello di Pak Lay, sul fiume Mekong, dal costo di 2,1 miliardi di dollari. I lavori di realizzazione della diga sono stati affidati alla compagnia di Stato cinese Power China Resources, tramite un finanziamento da 1,7 miliardi di dollari della China Export-Import Bank. Altre aziende cinesi, come Sinohydro Corporation e China International Water and Electric Corporation, sussidiaria di China Three Gorges Corporation, sono impegnate a loro volta nell’espansione della presenza cinese nel settore energetico laotino. Ad oggi il Laos avrebbe ricevuto 11 miliardi di dollari in assistenza finanziaria dalla Cina: un importo che nella macro-regione asiatica è secondo soltanto a quello destinato dalla Cina al Pakistan. Questi fondi, caratterizzati dalla Cina come “altri flussi ufficiali” (“Other official flows”) non sono riconosciuti da diversi paesi occidentali come forme di assistenza ufficiale allo sviluppo.

Il Laos, unico paese del Sud-est Asiatico privo di sbocco sul mare e uno dei meno sviluppati nella regione, sconta molteplici priorità di crescita che contribuiscono a gonfiarne il debito. Il primo ministro laotiano, Thongloun Sisoulith, ha dichiarato lo scorso anno che l’indebitamento oltre il livello di guardia è necessario per il paese a crescere e competere economicamente sul piano internazionale, nonostante la crescente preoccupazione espressa dai principali donatori occidentali e dalle istituzioni finanziarie internazionali. “Il Laos, in quando parte dei Paesi meno sviluppati (Ldc, i paesi con un reddito nazionale pro-capite inferiore a 1,025 dollari), ha certamente bisogno di finanziamenti per sostenere il proprio sviluppo”, ha detto il premier a margine della conferenza Future of Asia a Tokyo.

Stando al Fondo monetario internazionale (Fmi), il rapporto debito-pil del Laos ha superato il 60 per cento nel 2017, e raggiungerà il 65,9 per cento l’anno prossimo. L’Fmi avverte che il peso del debito estero è passato da “moderato” a “elevato”, e continua a salire nonostante negli ultimi anni l’economia sia cresciuta al ritmo del 7 per cento annuo. A causare questo aumento dell’indebitamento sono i finanziamenti contratti con la Cina per una serie di progetti infrastrutturali come lo sviluppo dell’idroelettrico sul fiume Mekong e la linea ferroviaria ad alta velocità, la cui realizzazione è iniziata nel 2016 nel contesto della nuova Via della seta. Il premier Sisoulith, però, ha dichiarato a “Nikkei” che il paese “ha bisogno di contrarre debiti”, ed ha sollevato dubbi in merito all’attendibilità dei dati relativi al debito pubblicati dalle organizzazioni internazionali. “Credo abbiano differenti modalità di calcolo”, ha detto il premier.

Il primo ministro del Laos ha annunciato a marzo dello scorso anno che il paese adotterà d’ora in poi una politica delle “tre aperture”, cui il premier ha fatto riferimento la prima volta il mese scorso, durante una conferenza sull’informazione, la cultura e il turismo a Vientiane. Il premier ha esortato tutti i ministeri e le agenzie statali a varare politiche tese a d aprire “le porte, la mente e le barriere” come opportunità per dare una svolta allo sviluppo del paese. Nelle intenzioni di Sisoulith, settimo premier del Laos in carica dal 2016, queste direttrici segnano la nuova linea politica ed ideologica del Partito rivoluzionario del Popolo Lao, il partito comunista laotiano al potere in quel paese dal 1975. Si tratta, come sottolineato dagli analisti di quel paese, di una rielaborazione delle politiche di apertura e riforma orientata al mercato intrapresa dal partito sin dal 1986.

Tali politiche vennero introdotte per superare i modelli di produzione agricola e industriale collettivista di quel paese, e adottare nuovi modelli di proprietà. Le lezioni apprese dalle nazioni sviluppate hanno convinto già da decenni la leadership del Laos che la diversificazione dei modelli di proprietà è la via maestra per accelerare lo sviluppo economico ed abbandonare il gruppo dei paesi meno sviluppati entro il 2020. Sfortunatamente, negli anni la concretizzazione di questo obiettivo politico e l’apertura economica e sociale del paese sono proseguiti a rilento. Il paese ha conseguito una crescita economica sostenuta, ma non è riuscito a dotarsi di una base economica diversificata, e ad oggi dipende ancora in maniera eccessiva dalle materie prime.

In assenza di progressi verso una economia maggiormente dipendente dalle conoscenze e dal know-how, ha avvertito il premier Sisoulith, il paese si esporrà a rischi di collasso economico e finanziario. Per rimediare alla situazione, sin dal 2011 il Partito rivoluzionario del Popolo Lao ha adottato quattro approcci tesi ad accelerare lo sviluppo; il primo di questi approcci prescriveva una rivoluzione nell’approccio e nella mentalità dei funzionari di governo, tramite la rimozione di “vecchi stereotipi, della compiacenza e dell’estremismo”: nel concreto, ciò significava adottare modelli di sviluppo in base alla loro rispondenza all’evidenza empirica e alle reali necessità del paese, più che alla loro aderenza teorica alla dottrina comunista. Il governo si è dato anche come obiettivi lo sviluppo delle risorse umane e la modernizzazione dei processi amministrativi e gestionali. (Fim)

 © Agenzia Nova - Riproduzione riservata

lunedì 14 gennaio 2019

Cina-Cambogia: il premier cambogiano Hun Sen in visita a Pechino dal 20 gennaio

Cina-Cambogia: premier cambogiano Hun Sen in visita a Pechino dal 20 gennaio


Pechino, 14 gen 12:00 - (Agenzia Nova) - Il primo ministro della Cambogia Samdech Techo Hun Sen si recherà in visita ufficiale in Cina dal 20 al 23 gennaio a seguito dell'invito del premier cinese Li Keqiang. Lo ha annunciato oggi il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying. L'ultima visita a Pechino del premier cambogiano Hun Sen risale allo scorso giugno ed era avvenuta per discutere lo stato delle relazioni bilaterali con alti esponenti del governo cinese. In quell'occasione, Hun Sen aveva incontrato il consigliere di Stato e ministro della Difesa cinese Wei Fenghe, cui aveva ribadito l'importanza attribuita da Phnom Penh all'amicizia tra i due paesi e la gratitudine per il sostegno della Cina allo sviluppo socioeconomico e delle capacità difensive cambogiani. Hun Sen si era profuso in elogi per i successi conseguiti dalla Cina sotto la leadership del presidente Xi Jinping.


Il primo ministro Hun Sen, criticato dalla comunità internazionale per presunte violazioni della libertà di stampa e dei diritti umani, aveva però incassato il pieno sostegno della Cina nelle elezioni generali del 29 luglio scorso, che lo hanno consacrato alla guida del paese. Pechino ha infatti contestato apertamente i paesi occidentali, esortandoli a garantire ai paesi più vulnerabili della regione “investimenti, non lezioni”. La Cina sta praticando questa dottrina con particolare convinzione proprio in Cambogia, dove sta finanziando la costruzione di vaste infrastrutture sportive che dovrebbero ospitare i Giochi del Sud-est Asiatico del 2023.

Lo stadio, dal costo approssimativo di 157 milioni di dollari e dalla capienza programmata di 55 mila posti, è il primo e più importante progetto infrastrutturale della cosiddetta “Città dell’amicizia Cambogia-Cina”: un centro che sorgerà 15 chilometri a nord della capitale Phnom Penh, in un’area semideserta, e che includerà anche centri commerciali, un campo da golf e un parco safari. I lavori di costruzione dello stadio sono iniziati alla fine del 2016, e il cantiere, che è vietato riprendere, pare occupare lavoratori cinesi. L’intero progetto è finanziato da Pechino, come dichiarato orgogliosamente dal premier Hun Sen, affermando che la sovvenzione per la realizzazione dello stadio è la più consistente mai concessa dalla Cina per un progetto infrastrutturale all’estero. Il progetto prevede anche la realizzazione di un complesso residenziale di lusso, destinato ad ospitare facoltosi cittadini cinesi.

La Cambogia è dipesa per un quarto di secolo dagli aiuti economici dell’Occidente. Negli ultimi anni, però – proprio in concomitanza con la decisa svolta autocratica del premier Hun Sen – Phnom Penh è divenuta uno dei principali recipienti di investimenti cinesi, come evidenziato da un rapporto del dipartimento di Stato Usa, che riporta dati del Consiglio per lo sviluppo della Cambogia (Cdc). Tra il 2010 e il 2016, la Cina ha investito 9 miliardi di dollari nella Cambogia, che è divenuto così uno dei principali destinatari degli aiuti economici di Pechino nel mondo, seconda soltanto alla Malesia. Nel 2016, Pechino ha operato nel paese più investimenti di quanto abbia fatto il Regno stesso, diventando così la prima fonte di capitali della Cambogia in assoluto.

La Cina si è avvicinata a Phnom Penh anche perché posta di fronte all’ostilità di Vietnam e Filippine per le dispute relative alla sovranità sul Mar Cinese Meridionale; Pechino ha scorto nella Cambogia, membro dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico (Asean), una “leva” ideale per impedire l’approvazione di una mozione unanime di quell’organizzazione contro l’espansionismo marittimo cinese. In precedenza Pechino ha scorto la stessa opportunità nel Myanmar, sempre più isolato sul piano internazionale per le gravi violenze contro la minoranza musulmana rohingya. Alla Cambogia, la Cina ha promesso ingenti investimenti infrastrutturali, sotto “l’ombrello” dell’ambiziosa iniziativa della nuova Via della seta. In cambio del suo deciso orientamento pro-cinese, Hun Sen ha ricavato soprattutto un potente alleato politico, grazie al quale ha potuto operare la brusca stretta autoritaria culminata nello scioglimento del Cnrp, il principale partito di opposizione democratica del paese.

giovedì 11 ottobre 2018

Hanoi. Tutto il potere nelle mani di Nguyen Phu Trong.

Il Vietnam segue le orme della Cina, il leader del partito diventa presidente

di Maicol Mercuriali - Italia Oggi del 5 ottobre 2018.

Nguyen Phu Trong: tutto il potere è concentrato nelle sue mani. L'ala conservatrice del partito comunista del Vietnam continuerà a tenere in pugno il paese asiatico. Anzi, con una concentrazione di poteri che non si vedeva dai tempi di Ho Chi Minh, il predominio di questa linea politica è oggi ancor più evidente. Il segretario generale del partito, Nguyen Phu Trong, è stato designato dal comitato centrale come candidato unico per la presidenza. Manca solo l'approvazione dell'assemblea nazionale affinché Trong diventi il nuovo capo dello Stato dopo l'improvvisa morte di Tran Dai Quang. La leadership del Vietnam viene così incarnata in una nuova figura, quella del segretario-presidente, praticamente quello che succede nella Cina di Xi Jinping. Trong, 74 anni, è membro del partito comunista dal 1967 e dai primi impegni nelle pubblicazioni del Pcv ha scalato varie posizioni fino a diventare il numero uno del regime. Dal 2011 ricopre la carica di segretario ed è stato il primo leader del partito comunista del Vietnam ad andare negli Stati Uniti, quando nel 2015 è stato ricevuto alla Casa Bianca dall'ex presidente Usa Barack Obama. Non è chiaro se l'ascesa alla presidenza di Trong sarà una mossa temporanea o se saranno apportate le modifiche costituzionali necessarie per unire in modo permanente i due uffici. Il prossimo congresso del partito affronterà il tema. Il nuovo presidente del Vietnam si è fatto conoscere per la sua lotta alla corruzione: un'azione che, come ricorda l'Agenzia France Presse, ha portato dietro le sbarre dozzine di ex politici, banchieri, funzionari e dirigenti comunisti. Una pulizia, fuori e dentro al partito, che come sottolineano gli osservatori ha anche portato all'eliminazione di potenziali oppositori tra le file dei riformisti. Come capo di stato, Trong, oltre alle prerogative di segretario di partito, sarà il principale rappresentante del paese per gli affari interni ed esteri, sarà comandante in capo dell'esercito, avrà il diritto di nominare o destituire i ministri e potere di indirizzo sull'assemblea nazionale. «Trong sarà l'uomo più potente nella storia del Vietnam dopo Ho Chi Minh e Le Duan», ha spiegato all'Afp l'esperto di politica vietnamita Tran Vu Hai. «Con un tale potere può fare ciò che vuole». Rimane deluso chi si aspettava la nomina di una donna a nuovo presidente del Vietnam, dopo che la carica ad interim era stata affidata alla vicepresidente Dan Thi Ngoc Thinh, prima donna nella storia del paese ad assumere questo ruolo.

Cresce il ruolo di Papa Francesco in Asia

Cresce il ruolo di Papa Francesco in Asia


di Pierpaolo Albricci il Sussidiario.net

Se è vero che è già accaduto che pontefici abbiano visitato paesi governati da regimi dittatoriali (pensiamo al Cile di Pinochet o alla Polonia di Jaruzelski) è anche vero che è difficile immaginare un papa in visita in Corea del Nord, nazione dove i lager che rinchiudono e uccidono anche i cristiani sono una realtà di massa. «Papa Francesco è un papa talmente straordinario e imprevedibile che potrebbe sorprenderci anche con questa cosa, ma è altrettanto vero che i cinesi non accetterebbero mai che il papa visiti prima la Corea del Nord e dopo la Cina, paese che invece Bergoglio ha detto più volte di voler visitare» ci dice il celebre sinologo Francesco Sisci.
Domanda. Moon Jae-in, il presidente della Corea del Sud si recherà a giorni in Vaticano con un invito personale di Kim Jong-un a visitare la Corea del nord. Che significato ha questo invito così sorprendente? Una mossa puramente propagandistica?
Risposta. Credo che sia un'operazione di immagine, in ogni caso è una operazione per avere una buona immagine. Ricordiamo che anche il padre di Kim Jong-un invitò il papa in circostanze analoghe e ugualmente estemporanee.
D. Un invito del genere non corre il rischio di essere un bastone fra le ruote al dialogo in atto tra Vaticano e Cina?
R. Esattamente. Questo invito arriva come un'entrata a gamba tesa nella delicata questione tra Cina e Vaticano che hanno appena siglato un accordo. Sappiamo che il papa vorrebbe andare in Cina e l'anno prossimo andrà in Giappone. Questo invito è comunque una testimonianza importante di due cose.
D. Quali?
R. La prima che il Vaticano è ormai una presenza diplomatica forte in Asia, in qualche modo tutti i paesi cercano di tirarlo dalla propria parte, una cosa estremamente positiva. La seconda è che l'accordo tra Pechino e Santa Sede sta scuotendo tanti equilibri, è una lenta onda sismica che muove perfino Pyongyang.
D. Potrebbe mai il papa andare in un paese dove i cristiani e tanta gente muore rinchiusa in lager sanguinari?
R. Non sono nella testa del papa e soprattutto di questo papa che è così sorprendente. Del resto non dimentichiamo che Kim Jong-un ha incontrato Donald Trump e che Mike Pompeo è andato ad Hanoi. Se ci andasse anche il papa non sarebbe una cosa così folle. Non credo però che i cinesi sarebbe felici se Francesco andasse in Corea e non in Cina. Non sappiamo nemmeno quando le condizioni per un viaggio in Cina saranno possibili.
D. Importante è comunque anche la visita di Moon in Vaticano. Di cosa parlerà con il papa?
R. Da quanto si sa, anche se il Vaticano ufficialmente non ha avuto una parte palese nei negoziati con le due Coree ha comunque seguito con grande attenzione quello che accadeva. Questa è la testimonianza che il presidente offre alla Santa Sede per il suo ruolo positivo nello sciogliere i tanti problemi coreani.
D. Tra le due Coree, la Cina e l'occidente pare di assistere a un'accelerazione politica complessiva: chi la controlla? E con quali esiti?
R. Non credo davvero ci sia una cabina di regia, però quello che si sta creando è un circuito a volte virtuoso a volte vizioso di rapporti interconnessi sia tra Cina e Europa, sia con l'America che è la grande protagonista.
A volte virtuosi, come la questione nordcoreana, a volte difficili, come nel Mar Cinese meridionale dove a novembre ci saranno le manovre americane. Sarà un momento molto delicato di tutta la partita che si sta giocando, una partita in perenne movimento.

martedì 9 gennaio 2018

Dighe cinesi sul Mekong: niente pesci, comunità in ginocchio

CAMBOGIA-CINA

Lungo quasi 4.800 km, è la più grande riserva di pesca nell'entroterra e secondo solo all'Amazzonia per biodiversità. Circa 60 milioni di persone dipendono dal fiume. Costruite da Pechino sei barriere nel tratto superiore, altre 11 dighe sono in fase di progetto. Risentiti a valle gli effetti su ambiente ed economia. Phnom Penh (AsiaNews/Agenzie) – Le comunità che dipendono dal Mekong denunciano la drastica diminuzione del pesce e accusano le dighe cinesi, infrastrutture che rafforzano il controllo fisico e diplomatico di Pechino sui vicini del sud-est asiatico. Il Primo ministro cinese, Li Keqiang, è atteso domani a Phnom Penh per guidare un nuovo vertice regionale che potrebbe plasmare il futuro del fiume. Lungo quasi 4.800 km, esso è la più grande riserva di pesca nell'entroterra del mondo ed è secondo solo all'Amazzonia quanto a biodiversità. Il Mekong è fonte di sostentamento per circa 60 milioni di persone che vivono negli insediamenti lungo il suo corso, che dagli altipiani tibetani attraversa Myanmar, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam, prima riversarsi nel Mar Cinese meridionale. Tuttavia, più a nord, è la Cina che controlla i flussi delle acque del Mekong. Pechino ha già conquistato il tratto superiore del fiume con sei dighe e sta investendo in più della metà delle 11 dighe pianificate più a sud. Le aziende hanno investito nell’impresa miliardi di dollari, ma finora non sono state in grado di effettuare valutazioni di impatto ambientale e sociale. Anche le imprese e le agenzie statali di Thailandia, Vietnam e Laos traggono vantaggio dai loro investimenti nei progetti idroelettrici. Interrompendo le migrazioni ed il flusso di nutrienti e sedimenti chiave per i pesci, i gruppi ambientalisti avvertono che le barriere rappresentano una grave minaccia per l’habitat naturale e per le comunità locali. Alcune di esse sono già state costrette ad abbandonare le proprie terre per consentire la costruzione delle dighe e molte altre sono a rischio di spostamento forzato a causa delle alluvioni. Con il controllo sulle sorgenti del fiume – note come Lancang – Pechino può arginare a monte la sua sezione del fiume, mentre gli impatti si fanno sentire a valle. Le autorità cinesi possono anche modulare i livelli delle acque, potente moneta di scambio mostrata nel 2016 quando la Cina ha aperto dighe sul suo suolo per aiutare il Vietnam a mitigare una grave siccità. La superpotenza regionale sta ora affermando la sua autorità attraverso il nascente forum della Cooperazione del Lancang-Mekong (Lmc), mentre compensa i suoi vicini del sud-est asiatico con investimenti e prestiti agevolati. All’incontro, che avrà luogo questa settimana in Cambogia, prenderanno parte i leader di tutti e sei i Paesi attraversati dal Mekong. Il ministero degli Esteri di Pechino pubblicizza il forum, che tratta anche questioni di sicurezza e commercio, come un modo per promuovere “prosperità economica, progresso sociale e un ambiente bellissimo”.
(Asia News, 9 gennaio 2018).

martedì 16 giugno 2015

Militari cinesi attaccano pescherecci di Hanoi. Completate le basi di Pechino nel mar Cinese meridionale (Asia News)

VIETNAM - CINA
Militari cinesi attaccano pescherecci di Hanoi. Completate le basi di Pechino nel mar Cinese meridionale
A pochi giorni da un bilaterale Cina-Vietnam, navi militari di Pechino hanno attaccato con cannoni d’acqua e rapinato due pescherecci di Hanoi nelle isole Paracel. Due pescatori sono rimasti feriti. Il Ministro degli esteri cinese avverte che i lavori nelle isole contese “saranno conclusi a giorni”. 


Hanoi (AsiaNews/Agenzie) – Navi militari di Pechino sono tornate ad attaccare pescherecci provenienti dal Vietnam nei pressi delle isole Paracel, arcipelago conteso da entrambe le nazioni. Il 7 giugno scorso un’imbarcazione vietnamita è stata bersaglio di cannonate d’acqua da parte imbarcazioni cinesi. Negli scontri, due pescatori sono rimasti feriti. Bui Tan Doan, che ha riportato la frattura di una gamba, racconta all’agenzia Thanh Nien che il getto dei cannoni d’acqua è durato per due ore, inondando il peschereccio che ha rischiato di affondare.
Il 10 giugno si è verificato un secondo episodio, nel quale il capitano Nguyen Van Phu e dieci marinai sono stati rapinati da uomini della marina di Pechino. Quattro imbarcazioni cinesi hanno circondato il peschereccio, poi una dozzina di militari sono saliti a bordo iniziando a danneggiare la barca, distruggendo i walkie-talkie e le componenti elettroniche. Secondo un pescatore, “[i cinesi] ci hanno costretto a trasportare sulle loro navi tutto il pescato, che pesava circa 6 tonnellate”.
Non è la prima volta che la marina cinese tenta di scoraggiare pescatori stranieri nelle acque contese. Lo scorso aprile simili attacchi si sono verificati a danno di marinai filippini. Da tempo Hanoi e Manila contrastano con crescente vigore "l’imperialismo" di Pechino nei mari meridionale e orientale. Il governo cinese rivendica una fetta consistente di oceano, che comprende le Spratly e le Paracel, isole contese da anche da Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia. Le isole Paracel sono state occupate per intero dai cinesi nel 1974, quando hanno allontanato le truppe rimanenti del sud Vietnam.
Gli attacchi hanno innalzato la tensione proprio a ridosso del bilaterale Cina-Vietnam che si terrà dal 17 al 19 giugno. Il vice Primo ministro vietnamita Pham Binh Minh e il Ministro degli esteri voleranno a Pechino per l’ottavo incontro della Commissione per la guida alla cooperazione bilaterale tra i due Paesi. Nell’ultimo summit, ad ottobre 2014, i due governi si erano impegnati a “controllare e gestire le loro divergenze marittime”.
Intanto oggi, il ministro degli esteri cinese Wang Yi ha dichiarato che le infrastrutture che Pechino sta costruendo da mesi nelle acque contese, “nei prossimi giorni” saranno concluse. Secondo Wang, le basi costruite saranno utili per le ricerche e i soccorsi marittimi, la protezione ambientale e gli studi scientifici. Il capo del dicastero ha ribadito che le azioni di Pechino sono legali, giustificate e entro i propositi della sovranità cinese nell’area.

Il timore degli Stati del sud-est asiatico e degli Stati Uniti è che le isole artificiali cinesi possano essere utilizzate per scopi militari e per imporre il controllo di Pechino sulla navigazione nel Mar Cinese meridionale, area ricchissima di petrolio e gas naturale, con un volume di affari annuo superiore ai 5mila miliardi di dollari.