Studi Indocinesi

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lunedì 14 gennaio 2019

Cina-Cambogia: il premier cambogiano Hun Sen in visita a Pechino dal 20 gennaio

Cina-Cambogia: premier cambogiano Hun Sen in visita a Pechino dal 20 gennaio


Pechino, 14 gen 12:00 - (Agenzia Nova) - Il primo ministro della Cambogia Samdech Techo Hun Sen si recherà in visita ufficiale in Cina dal 20 al 23 gennaio a seguito dell'invito del premier cinese Li Keqiang. Lo ha annunciato oggi il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying. L'ultima visita a Pechino del premier cambogiano Hun Sen risale allo scorso giugno ed era avvenuta per discutere lo stato delle relazioni bilaterali con alti esponenti del governo cinese. In quell'occasione, Hun Sen aveva incontrato il consigliere di Stato e ministro della Difesa cinese Wei Fenghe, cui aveva ribadito l'importanza attribuita da Phnom Penh all'amicizia tra i due paesi e la gratitudine per il sostegno della Cina allo sviluppo socioeconomico e delle capacità difensive cambogiani. Hun Sen si era profuso in elogi per i successi conseguiti dalla Cina sotto la leadership del presidente Xi Jinping.


Il primo ministro Hun Sen, criticato dalla comunità internazionale per presunte violazioni della libertà di stampa e dei diritti umani, aveva però incassato il pieno sostegno della Cina nelle elezioni generali del 29 luglio scorso, che lo hanno consacrato alla guida del paese. Pechino ha infatti contestato apertamente i paesi occidentali, esortandoli a garantire ai paesi più vulnerabili della regione “investimenti, non lezioni”. La Cina sta praticando questa dottrina con particolare convinzione proprio in Cambogia, dove sta finanziando la costruzione di vaste infrastrutture sportive che dovrebbero ospitare i Giochi del Sud-est Asiatico del 2023.

Lo stadio, dal costo approssimativo di 157 milioni di dollari e dalla capienza programmata di 55 mila posti, è il primo e più importante progetto infrastrutturale della cosiddetta “Città dell’amicizia Cambogia-Cina”: un centro che sorgerà 15 chilometri a nord della capitale Phnom Penh, in un’area semideserta, e che includerà anche centri commerciali, un campo da golf e un parco safari. I lavori di costruzione dello stadio sono iniziati alla fine del 2016, e il cantiere, che è vietato riprendere, pare occupare lavoratori cinesi. L’intero progetto è finanziato da Pechino, come dichiarato orgogliosamente dal premier Hun Sen, affermando che la sovvenzione per la realizzazione dello stadio è la più consistente mai concessa dalla Cina per un progetto infrastrutturale all’estero. Il progetto prevede anche la realizzazione di un complesso residenziale di lusso, destinato ad ospitare facoltosi cittadini cinesi.

La Cambogia è dipesa per un quarto di secolo dagli aiuti economici dell’Occidente. Negli ultimi anni, però – proprio in concomitanza con la decisa svolta autocratica del premier Hun Sen – Phnom Penh è divenuta uno dei principali recipienti di investimenti cinesi, come evidenziato da un rapporto del dipartimento di Stato Usa, che riporta dati del Consiglio per lo sviluppo della Cambogia (Cdc). Tra il 2010 e il 2016, la Cina ha investito 9 miliardi di dollari nella Cambogia, che è divenuto così uno dei principali destinatari degli aiuti economici di Pechino nel mondo, seconda soltanto alla Malesia. Nel 2016, Pechino ha operato nel paese più investimenti di quanto abbia fatto il Regno stesso, diventando così la prima fonte di capitali della Cambogia in assoluto.

La Cina si è avvicinata a Phnom Penh anche perché posta di fronte all’ostilità di Vietnam e Filippine per le dispute relative alla sovranità sul Mar Cinese Meridionale; Pechino ha scorto nella Cambogia, membro dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico (Asean), una “leva” ideale per impedire l’approvazione di una mozione unanime di quell’organizzazione contro l’espansionismo marittimo cinese. In precedenza Pechino ha scorto la stessa opportunità nel Myanmar, sempre più isolato sul piano internazionale per le gravi violenze contro la minoranza musulmana rohingya. Alla Cambogia, la Cina ha promesso ingenti investimenti infrastrutturali, sotto “l’ombrello” dell’ambiziosa iniziativa della nuova Via della seta. In cambio del suo deciso orientamento pro-cinese, Hun Sen ha ricavato soprattutto un potente alleato politico, grazie al quale ha potuto operare la brusca stretta autoritaria culminata nello scioglimento del Cnrp, il principale partito di opposizione democratica del paese.

mercoledì 9 gennaio 2019

Preah Vihear, Cambogia

Preah Vihear, Cambogia

Un osservatore privilegiato, Francesco Bandarin (Unesco), scruta il Patrimonio mondiale

da Il Giornale dell'Arte numero 393, gennaio 2019

Bassorilievo con il mito della burrificazione del mare di latte (Kshirasagara manthana)
Mille anni fa, al tempo della massima estensione dell’Impero Khmer nel Sud-Est asiatico, i sovrani della grande città di Angkor decisero di costruire un importante santuario in una zona che per secoli era stata utilizzata da piccoli eremitaggi monastici, in cima a un promontorio roccioso che sovrasta, a 700 metri di quota, tutta la grande pianura cambogiana. Fondato nel IX secolo dal figlio del re Jayavarman II, il sito di Preah Vihear («monastero sacro» in lingua Khmer) venne gradualmente trasformato in un importante luogo di pellegrinaggio, dedicato alla divinità induista Shiva (e anche del dio Vishnu). Negli anni tra il 1005 e il 1050 d.C. il re Sûryavarman I fece costruire la parte centrale del santuario, che venne poi completato nel XII secolo da Suryavarman II.

Il sito, con la sua struttura perfettamente leggibile e la vista grandiosa sulla pianura sottostante, è una testimonianza eccezionale della capacità della cultura Khmer di modellare un vasto territorio e di adattare l’architettura al paesaggio. La sua posizione eccezionale, sulla vetta del promontorio, lo ha protetto nel corso dei secoli da devastazioni e distruzioni. Il santuario, tuttavia, corse un grave pericolo alla fine del XX secolo, quando divenne una base militare dei Khmer rossi, che lo occuparono fino alla fine del loro potere, nel 1997, lasciando poi all’interno un grande numero di mine che impedirono per anni l’accesso al monumento.

Il complesso è disposto lungo un asse monumentale di circa 800 metri in leggera salita verso la cima del promontorio dove si trova il santuario centrale. Il percorso, che corrisponde a un itinerario sacro, è ritmato da 5 grandi porte monumentali (gopura). Il percorso è attrezzato con scalinate e rampe, lungo le quali si incontrano cisterne per l’acqua, gallerie, sale ed edifici monastici.

Il santuario centrale, che si trova sul ciglio del promontorio, è formato da due sistemi di gallerie disposte a forma di chiostro, una tipologia che probabilmente ha influenzato, più tardi, quella del celebre tempio di Ankgor Wat, e da alcuni edifici laterali. Anche se l’accesso al santuario avviene oggi dal lato tailandese, tradizionalmente era possibile arrivare dalla pianura attraverso una lunga scalinata che supera, con oltre 3mila gradini, un dislivello di quasi 500 metri. A questa struttura, che è in condizioni di degrado, oggi è stata affiancata una scalinata in legno. Le strutture architettoniche del santuario sono realizzate principalmente in grès, pietra estratta nella zona a seguito di un’importante operazione di livellamento della montagna, che ha consentito di realizzare il percorso sacro. Alcune parti del complesso, tuttavia, sono state costruite con materiali portati dalla pianura, quali mattoni cotti, travi in legno o elementi di copertura. Grande importanza hanno anche gli apparati decorativi scultorei. Su moltissimi timpani e travi si trovano scolpiti bassorilievi con scene della mitologia induista, come per esempio il celebre mito cosmologico della burrificazione del mare di latte (il Kshirasagara manthana).

Nonostante le ingiurie del tempo e alcune manomissioni subite durante il recente conflitto, il sito ha conservato un elevato grado di autenticità e di integrità, il che ha permesso nel 2008 la sua iscrizione nella lista del Patrimonio mondiale Unesco. Tuttavia, importanti lavori di restauro e di consolidamento sono necessari per impedire ulteriori crolli delle strutture, dovuti a terremoti e alla fatiscenza dei materiali. Inoltre, un rischio importante per la conservazione del sito è rappresentato dalla tensione politica che è esistita a lungo, per il controllo della zona, tra la Cambogia e la Thailandia, il cui confine si trova a poche decine di metri di distanza dall’ingresso al monumento. Nonostante il sito sia legato indiscutibilmente alla cultura cambogiana, in epoca coloniale un accordo sui confini tra il regno del Siam e la Francia, allora potenza occupante della Cambogia, attribuì la sovranità della zona del santuario alla Thailandia. Dopo la fine della colonizzazione, la Corte di Giustizia dell’Aia accolse il ricorso della Cambogia, a cui attribuì la sovranità del sito, purtroppo senza definire con precisione i confini. Questo creò una forte tensione tra i due Paesi, al punto che, dopo l’iscrizione del sito nella lista del Patrimonio mondiale, avvennero anche scontri armati, con vittime e danni al santuario. Per fortuna oggi si è trovato un modus vivendi pacifico, ma in tutta la zona esiste una forte presenza militare, a testimonianza delle difficoltà che molti siti in zone contese incontrano anche quando sono protetti dalle convenzioni internazionali.

Francesco Bandarin è consigliere speciale dell’Unesco per il patrimonio.
Le opinioni qui espresse sono dell’autore e non impegnano l’Unesco
Francesco Bandarin, da Il Giornale dell'Arte numero 393, gennaio 2019

mercoledì 17 gennaio 2018

Nghệ An, condanna per l’attivista cattolico Nguyen Van Oai

Nghệ An, confermata la condanna per l’attivista cattolico Nguyen Van Oai

Egli è membro del movimento democratico fuorilegge Viet Tan e cofondatore dell'Associazione degli ex prigionieri di coscienza. Faceva parte di un gruppo di 14 giovani cattolici e protestanti arrestati dal regime nel 2011. Lo scorso gennaio è stato aggredito e arrestato con l’accusa di aver violato i termini della condanna.

Hanoi (AsiaNews/Agenzie) – Un tribunale della provincia centro-settentrionale di Nghệ An conferma la pena detentiva per il blogger cattolico Nguyen Van Oai (foto), respingendo il suo appello e riportandolo in prigione. Lo scorso 18 settembre, il tribunale del popolo di Hoàng Mai ha condannato l’attivista ed ex prigioniero politico a cinque anni di carcere e quattro di arresti domiciliari per “resistenza a pubblico ufficiale” e “violazione della libertà vigilata”. Il 19 gennaio 2017, poliziotti in borghese avevano aggredito e arrestato l’attivista, per poi accusarlo di aver resistito e violato i termini dell’obbligo di residenza, disposto nel 2015 dopo aver scontato una precedente condanna per attività pro-democrazia.

Nguyen Van Oai, 36 anni, è membro del movimento democratico fuorilegge Viet Tan e cofondatore dell'Associazione degli ex prigionieri di coscienza cattolici. Egli faceva parte di un gruppo di 14 giovani cattolici e protestanti arrestati dal regime nel 2011 durante una serie di raid contro attivisti pro-diritti umani legati a gruppi ed organizzazioni religiose, movimenti ambientalisti e patrioti anti-cinesi. Assieme al famoso blogger cattolico Paulus Le Van Son, nel 2013 l’attivista è stato condannato a una pena di quattro anni di prigione e di altri quattro di libertà vigilata, per aver cercato di “rovesciare il governo legittimo”.

Nonostante la condanna, egli ha continuato a svolgere attività per la tutela dei diritti umani, denunciando le ingiustizie delle autorità locali e guidando le proteste contro i pesanti abusi nella riscossione delle imposte ed i conseguenti indebitamenti della popolazione. Inoltre, l’attivista ha sostenuto i cittadini delle province centrali del Vietnam a lottare per il risarcimento dei danni causati dalla Formosa Steel Company, compagnia responsabile del più grave disastro ecologico della storia del Paese.

Fonti locali riferiscono che poliziotti in borghese e teppisti hanno aggredito i sostenitori di Oai fuori dal tribunale, strappando loro di mano i telefoni ed alcuni striscioni che chiedevano il suo rilascio. (Asia News 17 gennaio 2018)

lunedì 11 settembre 2017

Un viaggio in Vietnam di tanti anni fa: una visita a Mỹ Sơn nel dicembre 1994

Fra gli ultimi giorni del dicembre 1994 e la prima metà del gennaio 1995 mi sono recato per la prima volta in Vietnam. Partii, in qualità di "accompagnatore culturale", con un gruppo di viaggiatori italiani riuniti dall'Associazione "Viaggi di Cultura" di Bologna, animata da quella figura di intellettuale curioso, esperto di storia della Cina e dell'Asia orientale e manager intraprendente che è Stefano Cammelli.


© Fabio Tosi 1994

Arrivati a Saigon, risalimmo il Paese con un piccolo pullman fino ad Hanoi: dopo alcuni giorni il gruppo di viaggiatori italiani ripartì mentre io mi fermai ancora una decina di giorni nella capitale vietnamita. Ma questa è un'altra storia che racconterò in un altro post.


Il viaggio fu compiuto con un pulmino lungo la Route Nationale 1A o Quốc lộ 1A, la grande arteria che collega tutto il Paese dalla frontiera con la Cina (provincia di Lang Son) a Nord fino all'estremo Sud, nella provincia di Ca Mau.


Circa a metà strada, nel Vietnam centrale, dopo aver visitato Huế, l'antica capitale dell'impero Nguyen, raggiungemmo in motocicletta il complesso monumentale di Mỹ Sơn, nella provincia di Quang Nam, capitale del regno Champa dal IV al XIII secolo e caratterizzato da numerose "torri-santuario" in laterizio immerse nel verde della foresta tropicale. Il regno Champa era esteso sulle regioni costiere del Vietnam cento-meridionale. La cultura religiosa e spirituale dei Cham aveva le sue radici nell'induismo. 



© Fabio Tosi 1994
Mỹ Sơn è stato riconosciuto dall'Unesco "patrimonio dell'umanità" nel 1999. All'epoca a cui risalgono queste mie foto (dicembre 1994) il luogo era ancora di difficile accesso e scarsamente visitato da pochi turisti e viaggiatori. 

Qui di seguito la scheda presente nel sito ufficiale dell'Unesco, con ricca documentazione sul sito: 


http://whc.unesco.org/fr/list/949/


(http://whc.unesco.org/en/list/949/)





© Fabio Tosi 1994
© Fabio Tosi 1994



© Fabio Tosi 1994


© Fabio Tosi 1994


© Fabio Tosi 1994


© Fabio Tosi 1994


© Fabio Tosi 1994


© Fabio Tosi 1994


© Fabio Tosi 1994


martedì 23 giugno 2015

Aventure en Indochine (1946-1954) - Fr3 Documentaire 2015

L'histoire de la présence française en Extrême-Orient entre 1930 et 1950 à travers les destins de «petits blancs» partis y chercher l'aventure.

Diffusé sur France 3 le jeudi 28 mai 2015 à 23:40 - Durée : 1 h 30

Au lendemain de la Seconde Guerre mondiale, dans une Indochine pourtant marquée par des années de guerre et la montée de la contestation, des «petits blancs» vivent et travaillent, dans les banques ou encore les entreprises. Le documentaire part sur les traces de Jean, un jeune aventurier qui part tenter sa chance en Indochine en 1945. Sur sa route, il croise des hommes et des femmes qui constituent, comme lui, le ferment de la présence française en Indochine. Le récit des vies de ces grandes familles expatriées, et de ces marins, médecins, institutrices et autres soldats, permet de découvrir l'Indochine des années 20, 30 et 40.

martedì 16 giugno 2015

Militari cinesi attaccano pescherecci di Hanoi. Completate le basi di Pechino nel mar Cinese meridionale (Asia News)

VIETNAM - CINA
Militari cinesi attaccano pescherecci di Hanoi. Completate le basi di Pechino nel mar Cinese meridionale
A pochi giorni da un bilaterale Cina-Vietnam, navi militari di Pechino hanno attaccato con cannoni d’acqua e rapinato due pescherecci di Hanoi nelle isole Paracel. Due pescatori sono rimasti feriti. Il Ministro degli esteri cinese avverte che i lavori nelle isole contese “saranno conclusi a giorni”. 


Hanoi (AsiaNews/Agenzie) – Navi militari di Pechino sono tornate ad attaccare pescherecci provenienti dal Vietnam nei pressi delle isole Paracel, arcipelago conteso da entrambe le nazioni. Il 7 giugno scorso un’imbarcazione vietnamita è stata bersaglio di cannonate d’acqua da parte imbarcazioni cinesi. Negli scontri, due pescatori sono rimasti feriti. Bui Tan Doan, che ha riportato la frattura di una gamba, racconta all’agenzia Thanh Nien che il getto dei cannoni d’acqua è durato per due ore, inondando il peschereccio che ha rischiato di affondare.
Il 10 giugno si è verificato un secondo episodio, nel quale il capitano Nguyen Van Phu e dieci marinai sono stati rapinati da uomini della marina di Pechino. Quattro imbarcazioni cinesi hanno circondato il peschereccio, poi una dozzina di militari sono saliti a bordo iniziando a danneggiare la barca, distruggendo i walkie-talkie e le componenti elettroniche. Secondo un pescatore, “[i cinesi] ci hanno costretto a trasportare sulle loro navi tutto il pescato, che pesava circa 6 tonnellate”.
Non è la prima volta che la marina cinese tenta di scoraggiare pescatori stranieri nelle acque contese. Lo scorso aprile simili attacchi si sono verificati a danno di marinai filippini. Da tempo Hanoi e Manila contrastano con crescente vigore "l’imperialismo" di Pechino nei mari meridionale e orientale. Il governo cinese rivendica una fetta consistente di oceano, che comprende le Spratly e le Paracel, isole contese da anche da Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia. Le isole Paracel sono state occupate per intero dai cinesi nel 1974, quando hanno allontanato le truppe rimanenti del sud Vietnam.
Gli attacchi hanno innalzato la tensione proprio a ridosso del bilaterale Cina-Vietnam che si terrà dal 17 al 19 giugno. Il vice Primo ministro vietnamita Pham Binh Minh e il Ministro degli esteri voleranno a Pechino per l’ottavo incontro della Commissione per la guida alla cooperazione bilaterale tra i due Paesi. Nell’ultimo summit, ad ottobre 2014, i due governi si erano impegnati a “controllare e gestire le loro divergenze marittime”.
Intanto oggi, il ministro degli esteri cinese Wang Yi ha dichiarato che le infrastrutture che Pechino sta costruendo da mesi nelle acque contese, “nei prossimi giorni” saranno concluse. Secondo Wang, le basi costruite saranno utili per le ricerche e i soccorsi marittimi, la protezione ambientale e gli studi scientifici. Il capo del dicastero ha ribadito che le azioni di Pechino sono legali, giustificate e entro i propositi della sovranità cinese nell’area.

Il timore degli Stati del sud-est asiatico e degli Stati Uniti è che le isole artificiali cinesi possano essere utilizzate per scopi militari e per imporre il controllo di Pechino sulla navigazione nel Mar Cinese meridionale, area ricchissima di petrolio e gas naturale, con un volume di affari annuo superiore ai 5mila miliardi di dollari.

sabato 31 maggio 2014

La Cambogia vista con gli occhi di Tiziano Terzani. Inaugurata la mostra In Cambogia. Fotografie dell'Archivio Tiziano Terzani"

Viaggio in Cambogia con gli occhi di Tiziano Terzani


VENEZIA. Inaugurata in occasione della giornata di studi “Ricostruire la Cambogia dopo i Khmer Rossi. L’esperienza di vita e di lavoro di Onesta Carpenè”, negli spazi espositivi della Manica Lunga a Venezia, si visita fino al 2 giugno la mostra “In Cambogia. Fotografie dall’Archivio Tiziano Terzani”, a cura di Angela Terzani Staude e Giulia Martini. Comprende ventisei stampe fotografiche originali, una ventina di riproduzioni da negativi, provini autentici e documenti tra dattiloscritti ed estratti stampa dell’epoca. Il progetto nasce in circostanze particolari: grazie ad Angela Staude, vedova Terzani, è in fase di definizione la donazione dell’Archivio di Tiziano Terzani. La Fondazione ha già ricevuto la cospicua Biblioteca di interesse orientale, ricca di circa seimila volumi. L’Archivio è costituito da un’importante raccolta di materiali eterogenei, fondamentali per poter conoscere un mondo intensamente toccato dai grandi cambiamenti storici nel XX secolo. Vi sono tutti gli articoli, ritagliati, pubblicati in Der Spiegel, Repubblica, il Corriere della Sera, l’Espresso, il Giorno, il Messaggero e documenti di accompagno, foto, negativi, appunti, diari; corrispondenza professionale e personale; vecchie macchine da scrivere e fotografiche, carte geografiche, passaporti.
La selezione di immagini e documenti presentata all’interno della mostra riassume una parte di quanto prodotto da Terzani durante il viaggio in Cambogia del 1980. I reportage dalla Cambogia del giornalista fiorentino, che nel 1972 arriva a East of Aden come corrispondente di guerra per il settimanale tedesco Der Spiegel, coprono un arco di circa 25 anni, dall’inizio dei Settanta fino agli anni Novanta del secolo scorso. Questi documenti scandiscono tutti i capitoli della tragedia cambogiana: il colpo di stato contro Sihanouk, i bombardamenti americani, la guerra civile, i crimini di Pol Pot, la confusa e ingovernabile migrazione dei profughi, la liberazione vietnamita, il fallimento delle Nazioni Unite. Tra le varie occasioni in cui Terzani visita la Cambogia per realizzare i suoi dispacci, il viaggio del 1980, oggetto del lungo reportage “Sento ancora le urla nella notte” pubblicato da Der Spiegel nell’aprile dello stesso anno, è sicuramente il più significativo: un’esperienza drammatica, che lo spingerà più tardi a scrivere “quanto ci eravamo sbagliati”. Dopo aver riportato le prime testimonianze sulla tempesta polpottiana attraverso i racconti dei rifugiati che cercavano di passare il confine tra Cambogia e Thailandia, nel marzo del 1980 Terzani riesce finalmente a entrare nel paese, per vedere con i propri occhi “quel tanto di orrore” che solo la realtà riserva.
Tre settimane, 1500 chilometri percorsi e 19 province visitate. Quello che Terzani attraversa non è solo un paese sfigurato dalla guerra, che pure conserva sempre la grande vivacità respirata negli anni Settanta. Non sopravvivono che “i fantasmi” e “gli scheletri delle cose” rimasti dopo le distruzioni. Nelle fotografie emerge il racconto di una precisa e terribile testimonianza, già resa nota a parole e qui riproposta attraverso gli occhi e l’obbiettivo di Tiziano Terzani. “In Cambogia. Fotografie dall’Archivio Tiziano Terzani”Venezia, Isola di San Giorgio Maggiore, Nuova Manica Lunga della Fondazione Cini. Orario: Lunedì - Venerdì: 9 - 16.30 per gli utenti delle Biblioteche della Fondazione Giorgio Cini. Sabato e Domenica: solo tramite il servizio di visite guidate della Fondazione Giorgio Cini. 


venerdì 16 maggio 2014

Cambogia, povertà e diseguaglianze "frenano lo sviluppo del popolo, serve un cambiamento": parla mons. Figaredo, prefetto apostolico di Battambang

Cambogia, povertà e diseguaglianze "frenano lo sviluppo del popolo, serve un cambiamento"
Mons. Enrique Figaredo, Prefetto apostolico di Battambang, conferma “l’estrema povertà” nella quale vive una “fetta consistente della popolazione”. La ricchezza “non è distribuita in modo eguale”, il Paese ha bisogno di un cambiamento “pacifico”. Cresce la Chiesa locale, ma l’obiettivo è “formare un clero locale”. 

Phnom Penh (AsiaNews) - "La povertà, l'estrema povertà nella quale vive ancora una fetta troppo consistente della popolazione cambogiana" è uno dei freni principali allo sviluppo del Paese; essa comporta "risvolti concreti sulle speranze di vita della gente, sulla loro salute e sull'accesso all'istruzione". È quanto afferma mons. Enrique Figaredo Alvargonzales, Prefetto apostolico di Battambang (una delle tre circoscrizioni della Chiesa cattolica in Cambogia). Il prelato è anche vice-presidente Celac, la Conferenza episcopale di Laos e Cambogia e presidente di Caritas Cambogia. In questa veste egli partecipa alla Campagna annuale di Caritas Francia - Soccorso cattolico, in programma dal 12 al 18 maggio, durante la quale è intervenuto in qualità di relatore. In una intervista a Eglise d'Asie, mons. Figaredo spiega che la persistente povertà è causa di un "consistente flusso migratorio" che coinvolge "in particolare i giovani, che lasciano la nostra regione di Battambang", che è in linea di massima rurale, per vivere nelle grandi città. Le mete privilegiate restano Siem Reap, Sihanoukville o Phnom Penh, ma "sono al contempo molti quelli che emigrano all'estero, in Thailandia".
In questi 14 anni alla guida della prefettura apostolica, mons. Figaredo ha visto "dei miglioramenti, la crescita economica del Paese è un dato di fatto, ma la ricchezza non è distribuita in modo eguale" e "la povertà resta endemica". Fra le fasce più giovani della popolazione, racconta il prelato, il "desiderio di una vita migliore è un dato di fatto". Di recente la Cambogia è stata scossa da una serie di manifestazioni, che hanno visto scendere in piazza opposizione e classe operaia; in alcuni casi la risposta del governo è stata dura, anche se sembra prevalere un timido tentativo di dialogo. "Ciò di cui il Paese ha bisogno - continua - non è un'escalation di violenza, ma che le cose cambino davvero in maniera pacifica. In questi ultimi mesi abbiamo moltiplicato i seminari di formazione attorno a questi temi. Questa è stata anche occasione di contatti approfonditi con i buddisti, in particolare i monaci".
In un contesto frammentato, che porta ancora i segni del dramma dei Khmer rossi e del regime sanguinario che fra il 1975 e il 1979 ha causato la morte di un quarto della popolazione, uno dei principali aspetti della pastorale della Chiesa è "costruire comunità che siano come famiglie". "I legami sociali hanno molto sofferto - aggiunge il prelato - e lo sviluppo economico attuale non aiuta certo a ricostruire". Per questo i cattolici tanto nelle scuole, quanto nei centri per disabili, anziani e persone con problemi mentali come primo obiettivo "mirano sempre a ricostruire la comunità".
Dal duemila a oggi la realtà cattolica di Battambang è raddoppiata, passando da 3mila a oltre 6mila fedeli iscritti nei registri parrocchiali. Le messe sono sempre affollate, partecipano anche persone che non hanno ricevuto il battesimo, racconta il prelato, ma che sono attirate "dalla liturgia, dall'atmosfera spirituale, dalla festa, dai canti e balli". È evidente, conclude il vescovo, che i cambogiani avvertono ancora il cristianesimo "come una religione importata dall'estero" e le chiese sono animate e guidate "da personale missionario". Nel tempo l'obiettivo è formare un clero locale solido, in grado di assumersi anche la responsabilità della guida di diocesi e parrocchie. Tuttavia, almeno a Battambang "l'ambiente è più asiatico che europeo, visto che sono solo due i sacerdoti non asiatici, mentre gli altri nove provengono da Indonesia, Filippine, Corea, Thailandia e India".
Nato in Spagna il 21 settembre 1959, mons. Figaredo ha fatto il suo ingresso nella Compagnia di Gesù nel 1979 ed è stato ordinato sacerdote nel 1992. Nel 1985, durante gli anni di università, è volontario nel Jesuit Refugees Service (Jrs) e lavora al fianco dei rifugiati cambogiani in un campo oltreconfine in Thailandia. Laureato in economia, poi in teologia e filosofia, egli si trasferisce in Cambogia per aiutare i mutilati e reduci di guerra; nel 1991 collabora alla nascita della "Casa della colomba", centro di accoglienza per i bambini vittime del conflitto. Come gran parte dei cristiani cambogiani, una esigua minoranza (2%) in un Paese in larga parte buddista (93%), egli è impegnato in attività di caritativa nel contesto di una realtà caratterizzata da forti conflitti politici e sociali.


Articolo pubblicato su:
http://www.asianews.it/notizie-it/Cambogia,-povert%C3%A0-e-diseguaglianze-frenano-lo-sviluppo-del-popolo,-serve-un-cambiamento-31084.html

domenica 30 giugno 2013

Perché «Studi Indocinesi»

«Studi Indocinesi» nasce dalla mia passione per la storia e per le culture materiali e spirituali della Penisola indocinese: Birmania (Myanmar), Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam. A partire dall'autunno del 1986 (ormai venticinque anni fa!) e fino a tutto il 1992 ho insegnato la lingua italiana in una scuola per immigrati di Roma, la «Louis Massignon» della Comunità di Sant'Egidio. La mia prima classe fu la cosiddetta "Classe dei Cambogiani", un gruppetto di circa venti ragazzi e qualche adulto provenienti dai campi profughi thailandesi: solo uno di essi era propriamente khmer, mentre tutti gli altri erano vietnamiti ma di origine cambogiana, originari della Kampuchea Krom, cioè della regione del delta del Mekong, un tempo parte integrante dell'impero khmer. L'incontro con quei ragazzi, spesso miei coetanei, con le loro storie difficili e la loro
La "Classe dei Cambogiani" con Paola, autunno 1986
simpatia e voglia di riscatto accesero in me l'interesse per i Paesi da dove giungevano. Mi feci raccontare le loro storie, diventammo amici, mangiammo insieme e facemmo festa. Cercai qualcosa da leggere sulla Cambogia e il Vietnam e trovai due libri: la Storia del Viet Nam di Le Thanh Khoi (Einaudi 1979) e Cambogia anno zero di P. François Ponchaud (Sonzogno 1977). Di lì a poco arrivò il momento di scegliere l'argomento della tesi di Storia Moderna per laurearmi in Lettere alla Sapienza: decisi di condurre le mie ricerche sulla Cambogia dei secoli XVII-XIX, naturalmente concentrando la mia attenzione sulle fonti europee, francesi soprattutto. Da allora, come un fiume carsico che affiora qua e là, quando la mia pigrizia e inconcludenza lasciano aperto un varco sulla superficie della mia vita d'ogni giorno, quella mia passione riemerge e mi spinge a studiare ancora, a leggere, insieme al ricordo delle lezioni d'italiano durante le quali, come sempre succede, chi aveva di più da imparare ero proprio io.