Studi Indocinesi

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mercoledì 9 gennaio 2019

Preah Vihear, Cambogia

Preah Vihear, Cambogia

Un osservatore privilegiato, Francesco Bandarin (Unesco), scruta il Patrimonio mondiale

da Il Giornale dell'Arte numero 393, gennaio 2019

Bassorilievo con il mito della burrificazione del mare di latte (Kshirasagara manthana)
Mille anni fa, al tempo della massima estensione dell’Impero Khmer nel Sud-Est asiatico, i sovrani della grande città di Angkor decisero di costruire un importante santuario in una zona che per secoli era stata utilizzata da piccoli eremitaggi monastici, in cima a un promontorio roccioso che sovrasta, a 700 metri di quota, tutta la grande pianura cambogiana. Fondato nel IX secolo dal figlio del re Jayavarman II, il sito di Preah Vihear («monastero sacro» in lingua Khmer) venne gradualmente trasformato in un importante luogo di pellegrinaggio, dedicato alla divinità induista Shiva (e anche del dio Vishnu). Negli anni tra il 1005 e il 1050 d.C. il re Sûryavarman I fece costruire la parte centrale del santuario, che venne poi completato nel XII secolo da Suryavarman II.

Il sito, con la sua struttura perfettamente leggibile e la vista grandiosa sulla pianura sottostante, è una testimonianza eccezionale della capacità della cultura Khmer di modellare un vasto territorio e di adattare l’architettura al paesaggio. La sua posizione eccezionale, sulla vetta del promontorio, lo ha protetto nel corso dei secoli da devastazioni e distruzioni. Il santuario, tuttavia, corse un grave pericolo alla fine del XX secolo, quando divenne una base militare dei Khmer rossi, che lo occuparono fino alla fine del loro potere, nel 1997, lasciando poi all’interno un grande numero di mine che impedirono per anni l’accesso al monumento.

Il complesso è disposto lungo un asse monumentale di circa 800 metri in leggera salita verso la cima del promontorio dove si trova il santuario centrale. Il percorso, che corrisponde a un itinerario sacro, è ritmato da 5 grandi porte monumentali (gopura). Il percorso è attrezzato con scalinate e rampe, lungo le quali si incontrano cisterne per l’acqua, gallerie, sale ed edifici monastici.

Il santuario centrale, che si trova sul ciglio del promontorio, è formato da due sistemi di gallerie disposte a forma di chiostro, una tipologia che probabilmente ha influenzato, più tardi, quella del celebre tempio di Ankgor Wat, e da alcuni edifici laterali. Anche se l’accesso al santuario avviene oggi dal lato tailandese, tradizionalmente era possibile arrivare dalla pianura attraverso una lunga scalinata che supera, con oltre 3mila gradini, un dislivello di quasi 500 metri. A questa struttura, che è in condizioni di degrado, oggi è stata affiancata una scalinata in legno. Le strutture architettoniche del santuario sono realizzate principalmente in grès, pietra estratta nella zona a seguito di un’importante operazione di livellamento della montagna, che ha consentito di realizzare il percorso sacro. Alcune parti del complesso, tuttavia, sono state costruite con materiali portati dalla pianura, quali mattoni cotti, travi in legno o elementi di copertura. Grande importanza hanno anche gli apparati decorativi scultorei. Su moltissimi timpani e travi si trovano scolpiti bassorilievi con scene della mitologia induista, come per esempio il celebre mito cosmologico della burrificazione del mare di latte (il Kshirasagara manthana).

Nonostante le ingiurie del tempo e alcune manomissioni subite durante il recente conflitto, il sito ha conservato un elevato grado di autenticità e di integrità, il che ha permesso nel 2008 la sua iscrizione nella lista del Patrimonio mondiale Unesco. Tuttavia, importanti lavori di restauro e di consolidamento sono necessari per impedire ulteriori crolli delle strutture, dovuti a terremoti e alla fatiscenza dei materiali. Inoltre, un rischio importante per la conservazione del sito è rappresentato dalla tensione politica che è esistita a lungo, per il controllo della zona, tra la Cambogia e la Thailandia, il cui confine si trova a poche decine di metri di distanza dall’ingresso al monumento. Nonostante il sito sia legato indiscutibilmente alla cultura cambogiana, in epoca coloniale un accordo sui confini tra il regno del Siam e la Francia, allora potenza occupante della Cambogia, attribuì la sovranità della zona del santuario alla Thailandia. Dopo la fine della colonizzazione, la Corte di Giustizia dell’Aia accolse il ricorso della Cambogia, a cui attribuì la sovranità del sito, purtroppo senza definire con precisione i confini. Questo creò una forte tensione tra i due Paesi, al punto che, dopo l’iscrizione del sito nella lista del Patrimonio mondiale, avvennero anche scontri armati, con vittime e danni al santuario. Per fortuna oggi si è trovato un modus vivendi pacifico, ma in tutta la zona esiste una forte presenza militare, a testimonianza delle difficoltà che molti siti in zone contese incontrano anche quando sono protetti dalle convenzioni internazionali.

Francesco Bandarin è consigliere speciale dell’Unesco per il patrimonio.
Le opinioni qui espresse sono dell’autore e non impegnano l’Unesco
Francesco Bandarin, da Il Giornale dell'Arte numero 393, gennaio 2019

martedì 9 gennaio 2018

Dighe cinesi sul Mekong: niente pesci, comunità in ginocchio

CAMBOGIA-CINA

Lungo quasi 4.800 km, è la più grande riserva di pesca nell'entroterra e secondo solo all'Amazzonia per biodiversità. Circa 60 milioni di persone dipendono dal fiume. Costruite da Pechino sei barriere nel tratto superiore, altre 11 dighe sono in fase di progetto. Risentiti a valle gli effetti su ambiente ed economia. Phnom Penh (AsiaNews/Agenzie) – Le comunità che dipendono dal Mekong denunciano la drastica diminuzione del pesce e accusano le dighe cinesi, infrastrutture che rafforzano il controllo fisico e diplomatico di Pechino sui vicini del sud-est asiatico. Il Primo ministro cinese, Li Keqiang, è atteso domani a Phnom Penh per guidare un nuovo vertice regionale che potrebbe plasmare il futuro del fiume. Lungo quasi 4.800 km, esso è la più grande riserva di pesca nell'entroterra del mondo ed è secondo solo all'Amazzonia quanto a biodiversità. Il Mekong è fonte di sostentamento per circa 60 milioni di persone che vivono negli insediamenti lungo il suo corso, che dagli altipiani tibetani attraversa Myanmar, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam, prima riversarsi nel Mar Cinese meridionale. Tuttavia, più a nord, è la Cina che controlla i flussi delle acque del Mekong. Pechino ha già conquistato il tratto superiore del fiume con sei dighe e sta investendo in più della metà delle 11 dighe pianificate più a sud. Le aziende hanno investito nell’impresa miliardi di dollari, ma finora non sono state in grado di effettuare valutazioni di impatto ambientale e sociale. Anche le imprese e le agenzie statali di Thailandia, Vietnam e Laos traggono vantaggio dai loro investimenti nei progetti idroelettrici. Interrompendo le migrazioni ed il flusso di nutrienti e sedimenti chiave per i pesci, i gruppi ambientalisti avvertono che le barriere rappresentano una grave minaccia per l’habitat naturale e per le comunità locali. Alcune di esse sono già state costrette ad abbandonare le proprie terre per consentire la costruzione delle dighe e molte altre sono a rischio di spostamento forzato a causa delle alluvioni. Con il controllo sulle sorgenti del fiume – note come Lancang – Pechino può arginare a monte la sua sezione del fiume, mentre gli impatti si fanno sentire a valle. Le autorità cinesi possono anche modulare i livelli delle acque, potente moneta di scambio mostrata nel 2016 quando la Cina ha aperto dighe sul suo suolo per aiutare il Vietnam a mitigare una grave siccità. La superpotenza regionale sta ora affermando la sua autorità attraverso il nascente forum della Cooperazione del Lancang-Mekong (Lmc), mentre compensa i suoi vicini del sud-est asiatico con investimenti e prestiti agevolati. All’incontro, che avrà luogo questa settimana in Cambogia, prenderanno parte i leader di tutti e sei i Paesi attraversati dal Mekong. Il ministero degli Esteri di Pechino pubblicizza il forum, che tratta anche questioni di sicurezza e commercio, come un modo per promuovere “prosperità economica, progresso sociale e un ambiente bellissimo”.
(Asia News, 9 gennaio 2018).

sabato 30 dicembre 2017

Kampot, restituita la cattedrale sul monte Bokor

Costruita dai francesi nel 1917, la chiesa è stata abbandonata per decenni. Decisivo l’intervento del ministero dell’Ambiente. Alla Chiesa cattolica il compito di restaurare l’edificio. Ultimati i lavori, si pensa all’istituzione di un santuario.

Kampot (AsiaNews) – Il governo cambogiano restituisce ai cattolici la cattedrale sulla vetta del monte Bokor, costruita in epoca coloniale dai francesi nella provincia meridionale di Kampot. Attraverso il ministero dell'Ambiente, le autorità affidano alla Chiesa locale la custodia dell'edificio, abbandonato dai tempi della guerra civile ed in pessime condizioni strutturali.

La cerimonia della consegna ha avuto luogo lo scorso 24 dicembre, alla presenza di una delegazione del dicastero, guidata dal ministro Say Samal, e di mons. Olivier Michel Marie Schmitthaeusler, vicario apostolico a Phnom Penh. Vi hanno preso parte anche Chea Sam Ang, direttore del Dipartimento governativo per la conservazione e protezione del patrimonio naturale, ed i vertici dell’Ufficio cattolico nazionale per la comunicazione sociale. Durante il suo intervento, il ministro ha dichiarato che il governo ha deciso di consegnare la chiesa, costruita nel 1917, alla comunità cattolica per il suo mantenimento, restauro e per la pratica religiosa. “Significa che il governo riconosce tutte le religioni ed il diritto del popolo a praticare la propria fede", ha affermato.

Intervistato da AsiaNews, p. Gianluca Tavola, superiore delegato del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) in Cambogia, esprime la soddisfazione dei cattolici locali. “Seppur costruita in epoca coloniale – dichiara il sacerdote – per la fede della nostra gente questo luogo di culto è una testimonianza della secolare presenza della Chiesa cattolica nel Paese. La comunità cristiana di Kampot è di fede recente, risalee al massimo a 20-22 anni fa. La restituzione dell’edificio pone fine ad un processo durato anni, durante i quali abbiamo fatto diverse richieste per riaverlo indietro. Ci eravamo rivolti alla Provincia, alla compagnia che ha preso in affitto dal governo tutta la montagna, prima di essere indirizzati al ministero dell’Ambiente, che ha reso possibile la riconsegna”.

“La notizia della decisione presa dalle autorità giunta solo una decina di giorni fa – prosegue p. Tavola – e tutto è avvenuto in maniera molto rapida. Noi pensiamo più all’istituzione di un santuario, che ad una parrocchia. Sulla montagna infatti non è presente una comunità cristiana. Data la bellezza del luogo, questo sarà per i cattolici di Kampot e di tutta la Cambogia un punto di riferimento per pellegrinaggi e ritiri spirituali, se riusciremo a costruire le strutture necessarie. L’edificio è completamente spoglio al suo interno. Gli interventi di ristrutturazione saranno a carico della Chiesa, anche se il ministro ha dato disponibilità per assisterci nei lavori, più che altro da un punto di visto burocratico. (Asia News).

venerdì 5 febbraio 2016

Giubileo, tempo favorevole per approfondire il dialogo interreligioso

Phnom Penh (Agenzia Fides) – Lasciarsi toccare dalla grazia di Dio per avere il cuore aperto al prossimo, in un dialogo franco e accogliente: è quanto chiede ai fedeli cambogiani Sua Ecc. Mons. Olivier Schmitthaeusler, Vicario apostolico di Phnom Penh, ricordando, in una nota inviata all’Agenzia Fides, che l’Anno Giubilare è un tempo favorevole per praticare e approfondire il dialogo interreligioso. Soprattutto a partire dal 50° anniversario dellla dichiarazione del Concilio Vaticano II “Nostra Aetate” che esorta al dialogo e alla collaborazione con i seguaci di altre religioni, riconoscendo e valorizzando quei valori morali e socioculturali presenti nei fedeli che professano un altro credo. Il tasto del dialogo interreligioso è particolarmente sensibile e importante nel contesto asiatico, dove i cristiani vivono, nella maggioranza dei paesi del continente, da minoranze.
Il Vicario apostolico ricorda poi un altro anniversario significativo, il 50° della Costituzione conciliare “Gaudium et Spes”, e rilancia ai cristiani in Cambogia “la sfida urgente di fare proprie le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, soprattutto quelli che sono poveri o in qualsiasi modo soffrono”. I fedeli cambogiani, “uniti in Cristo, e guidati dallo Spirito Santo nel loro cammino verso il Regno, accolgano il Vangelo di Salvezza per se e per ogni uomo” auspica, indicando un “programma dell’Anno Santo”: “Espandere il proprio cuore e agire concretamente per il prossimo, in un cammino punteggiato dalle opere di misericordia spirituali e corporali”. (PA) (Agenzia Fides 28/1/2016)

lunedì 1 febbraio 2016

Cambogia: a Phnom Penh i funerali di mons. Destombes


Si sono svolti oggi a Phnom Penh, capitale della Cambogia, i funerali di mons. Emile Destombes, artefice della rinascita della piccola comunità cattolica nel Paese dopo il dramma del genocidio dei Khmer Rossi di Pol Pot. Il presule, missionario delle Missioni Estere di Parigi (Mep), si è spento il 28 gennaio scorso nella capitale cambogiana, sede del Vicariato apostolico che aveva guidato dal 2001 al 2010, dopo essere stato nel 1989 il primo missionario in assoluto a poter rientrare nel Paese dopo la grande tragedia.
Espulso dai Khmer Rossi nel 1975
Nato a Roncq, nell’arcidiocesi di Lille, in Francia, nel 1935, Destombes era arrivato in Cambogia come giovane missionario nel 1965. A Phnom Penh – ricorda la rivista del Pime “Mondo e Missione” - era stato insegnante nel seminario minore e direttore di uno studentato. Poi, dal 1970, aveva diretto il Comitato per gli aiuti alle vittime della guerra, fino alla conquista di Phnom Penh da parte dei khmer rossi, nell’aprile 1975. Espulso insieme a tutti gli altri missionari, aveva insegnato per alcuni anni a Parigi, finché, nel 1979, aveva accolto una nuova chiamata missionaria, partendo per il Brasile, dove era stato parroco per dieci anni nello Stato del Goias. Quando, però, nel 1989 le truppe vietnamite lasciarono la Cambogia, fu lui il primo sacerdote a poter rientrare in qualità di rappresentante di Caritas Internationalis per l’assistenza umanitaria.
Nel 1990 la Messa della Resurrezione
Per un anno rimase l’unico sacerdote straniero nel Paese e poté, quindi, ristabilire i contatti con alcuni dei suoi vecchi studenti. Nell’aprile 1990, poi, ricevette dal regime l’autorizzazione alla riapertura di una chiesa. Così il 14 aprile 1990, nel giorno di Pasqua, padre Destombes poté presiedere la prima Messa pubblica dopo tanti anni. “Quell’evento vide riuniti circa tremila fedeli – ha raccontato all’agenzia Eglise d’Asie padre Vincent Sénéchal, anche lui missionario dei Mep in Cambogia – ed è rimasto nella memoria della Chiesa cambogiana come la Messa della Resurrezione”.
Le spoglie inumate nella parrocchia di San Giuseppe a Phnom Penh
Nominato nel 1997 vescovo coadiutore di mons. Yves Ramousse - il vicario apostolico del periodo precedente al dramma del 1975, anche lui poi rientrato in Cambogia – ne aveva raccolto il testimone nel 2001 fino al 2010, quando gli è succeduto un altro confratello missionario dei Mep, mons. Olivier Schmitthaeusler, che ha concelebrato l’odierna Messa esequiale. Le sue spoglie sono state inumate nella parrocchia di San Giuseppe. (L.Z.)
(Da Radio Vaticana)

martedì 24 novembre 2015

ASIA/CAMBOGIA - Il Giubileo della Misericordia nel segno dei martiri e degli ultimi della società

ASIA/CAMBOGIA - Il Giubileo della Misericordia nel segno dei martiri e degli ultimi della società

Phnom Penh – “In un mondo che soffre per guerre, violenza, odio, la misericordia è il modo in cui Dio si offre per riconciliare l'umanità e perché viviamo come fratelli e sorelle, nella pace e nell'armonia. In Cambogia accoglieremo questo tempo di grazia per rinnovarci spiritualmente, nella riconciliazione con Dio e con il prossimo”: lo scrive Sua Ecc. Mons. Olivier Schmitthaeusler, Viario Apostolico di Phnom Penh, in una lettera diffusa tra tutti i fedeli e inviata dal Vescovo al’Agenzia Fides.
Nella Chiesa locale, che ha vissuto nel 2014 “l'Anno della Carità”, si aprirà il 10 dicembre ufficialmente la Porta Santa nel Centro Pastorale del Vicariato di Phnom Penh, mentre il 13 dicembre ci sarà l’inaugurazione di una speciale mostra dedicata ai martiri cambogiani, e il 1° gennaio l’apertura della Porta Santa al Santuario della Madonna del Mekong. Ogni comunità del Vicariato è invitata a compiere un pellegrinaggio per l'Anno Santo in tutti e tre questi luoghi, mentre vari eventi sono previsti “per consentire di vivere una vera conversione interiore”, nota il Vescovo.Dato l’invito del Santo Padre a prepararsi “a vivere opere di misericordia corporali e spirituali”, la lettera invita tutti i fedeli a “essere segno dell’amore di Dio per ogni uomo, in particolare con la vicinanza e la presenza con i piccoli, i poveri gli ultimi, così numerosi nella nostra società”.
Un pensiero è rivolto a tutta la nazione : “Quest'anno sia un anno di riconciliazione nei nostri cuori, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità e nel nostro paese che sta per aprirsi la grande mercato comune dell’Asean” conclude il Vicario.

mercoledì 17 giugno 2015

L’Eglise du Cambodge ouvre le procès en béatification de 35 martyrs morts sous Pol Pot

L’Eglise du Cambodge ouvre le procès en béatification de 35 martyrs morts sous Pol Pot
Mgr. Salas e alcuni dei 35 martiri di Cambogia

Eglises d'Asie - Agence d'information des Missions Etrangères de Paris  


L’Eglise du Cambodge ouvre le procès en béatification de 35 martyrs morts sous Pol Pot


17/06/2015
Alors que le pape François vient de signer le décret ouvrant la voie à la béatification de 17 martyrs de l’Eglise du Laos, les responsables de l’Eglise catholique au Cambodge lancent le processus qui devrait aboutir à la béatification de 35 martyrs, exécutés ou morts de faim et d’épuisement sous le régime de Pol Pot et des Khmers rouges, au pouvoir entre 1975 et 1979. Si la démarche aboutit, ce sera une première pour le Cambodge, pays qui, à ce jour, ne compte pas de bienheureux et de saints reconnus par l’Eglise.
Pour Mgr Olivier Schmitthaeusler, 44 ans, vicaire apostolique de Phnom Penh, et les évêques des deux autres circonscriptions ecclésiastiques du Cambodge, c’est l’aboutissement d’une démarche entreprise il y a quinze ans, lorsqu’en l’an 2000, en réponse à l’appel du pape Jean-Paul II de faire mémoire des martyrs et de tous ceux qui avaient souffert pour leur foi au cours du XXe siècle, un mémorial dédié aux martyrs du Cambodge avait été inauguré à Taing Kauk (Tang Kok), bourgade rurale chère au cœur de la petite communauté des chrétiens de ce pays.
Le site de Taing Kauk avait été choisi parce que c’est là qu’ont vécu sous le régime communiste des chrétiens de Phnom Penh, de Battambang et de Kompong Thom. C’est là que Mgr Joseph Chhmar Salas, le premier évêque cambodgien, a été déporté avec ses parents et proches et est mort de maladie et de faim en 1977, dans une pagode transformée en hôpital, à la lisière des trois diocèses de Phnom Penh, Battambang et Kompong Cham. C’est là que la croix pectorale de Mgr Salas avait été cachée sous un nid de poule avant d’être transportée à Phnom Penh en 1979 et transmise à Mgr Emile Destombes, coadjuteur de l’évêque de Phnom Penh, lors de son ordination épiscopale en 1997.
C’est donc à Taing Kauk que le vicaire apostolique de Phnom Penh, aux côtés de Mgr Antonysamy Surairaj, préfet apostolique de Kompong Cham, et de Mgr Enrique Figaredo, préfet apostolique de Battambang, se sont rendus le 1er mai dernier pour ouvrir officiellement la phase diocésaine du procès en béatification de 35 martyrs. Mille quatre cents fidèles des trois diocèses de l’Eglise du Cambodge étaient réunis avec eux, signifiant par leur nombre l’importance que revêt pour eux cette démarche.
Eglises d’Asie, Mgr Schmitthaeusler explique que l’ouverture de la phase diocésaine du procès en béatification est en soi un aboutissement. « Pour une Eglise petite comme la nôtre et pauvre en moyens humains et matériels, un tel processus est complexe », précise-t-il, non sans ajouter que cela fait des années que, dans ce pays très jeune où la majorité de la population n’a pas connu le régime khmer rouge, le témoignage donné par les martyrs est transmis aux jeunes catéchumènes et aux jeunes baptisés.
Concrètement, c’est grâce au travail mené par Mgr Yves Ramousse, 87 ans, vicaire apostolique de Phnom Penh de 1962 à 1976 puis de 1992 à 2001, qu’une liste de 35 noms a pu être établie. Outre Mgr Joseph Chhmar Salas (1937-1977), des prêtres – dont cinq pères des Missions Etrangères de Paris –, des religieux et religieuses ainsi que des laïcs y figurent. Trois nationalités sont représentées : Cambodge, Vietnam et France.
L’actuel vicaire apostolique de Phnom Penh ajoute avoir envoyé un prêtre des Missions Etrangères de Thaïlande, en mission à Phnom Penh, étudier le droit canonique à Rome en 2012 ; ce missionnaire, le P. Paul Chatsirey Roeung, est le postulateur de la cause et suivra le dossier lorsque celui-ci sera transmis à la Congrégation pour les causes des saints, au Vatican.
Le 1er mai dernier, à Taing Kauk, Mgr Schmitthaeusler a expliqué aux catholiques rassemblés que toute cette démarche prendra très certainement des années avant d’aboutir, tant la compilation des documents relatifs aux 35 martyrs est difficile étant donné le contexte extrême où ils ont trouvé la mort. Mais il ne cache pas avoir été conforté par l’attention témoigné par le pape François envers cette cause. C’était lors des Journées asiatiques de la jeunesse en Corée du Sud ; le 15 août dernier, lors d’une rencontre avec la jeunesse catholique d’Asie, le pape avait explicitement encouragé l’Eglise du Cambodge à avancer dans cette cause et avait demandé au cardinal Angelo Amato, préfet de la Congrégation pour les causes des saints, de soutenir Mgr Schmitthaeusler dans ce travail.
A propos de ces martyrs, dans son homélie du 1er mai dernier, Mgr Schmitthaeusler déclarait : « En lisant (…) la liste de nos présumés martyrs, c’est le peuple de Dieu dans sa diversité que nous avons rencontrés. Pasteurs et serviteurs, évêques, prêtres, religieux et religieuses avec leurs frères et sœurs chrétiens ont donné ce qu’ils avaient de plus précieux : leur vie.
Pol Pot et les Khmers rouges ont pris leur biens, leur terre, leur métier, leurs églises, leurs écoles, leurs monastères. Mais pas leur vie éclairée par la foi et l’amour reçus le jour de leur baptême ! Oui, c’est ce peuple de vivant que nous célébrons aujourd’hui. C’est de ce peuple dont nous faisons partis. »
Dans une société à 95 % bouddhiste, la petite communauté catholique (autour de 22 000 fidèles) poursuit son chemin de renaissance après avoir été presque totalement anéantie par les persécutions des Khmers rouges et la guerre civile jusqu’en 1990.
(eda/ra)
Eglises d'Asie - Agence d'infomation de Missions Etrangères de Paris

martedì 16 giugno 2015

The martyrdom of Fr. Rapin, the seed of new life for the mission of the Church in Cambodia

40 years after his martyrdom, the French missionary is still remembered as "the good shepherd". From the beginning of his mission to the war, until his death at the hands of the Khmer Rouge. His blood is a "seed" for new Christians. Today, his mission is alive and growing. The story of a PIME priest in Cambodia.


Phnom Penh (AsiaNews) - He only worked in Kdol Leu for three years, but people loved Fr. Pierre Rapin very much and even today, after forty years, remember him as the good shepherd who, in the footsteps of Jesus, gave his life for his sheep (cfr. Jn. 10:11).
Pierre was born July 7, 1926 in the farming village of Boupere in Vendee (France). Son of farmers, he was the third of five children. From an early age he helped his parents in the fields and in the breeding of cows and chickens. Every morning, before dawn, he lent a hand to help in the milking. He loved manual work particularly repairing broken things, such as the old grandfather clock in the house. He was also artistic, loved to sing, and together with his siblings, their songs would lighten the family atmosphere of their home.
Daily prayer and Sunday Mass were part of their rhythm of life. Already as teenagers, Pierre and his siblings were actively involved in the Young Christian Workers. When Pierre was 18 years old, his sister Maria decided to consecrate herself as a religious. A year later, it was the turn of his younger brother, Claude, to make the announcement of wanting to enter the seminary. Their parents put up no opposition.  They may have been losing much needed man power on the farm, but they willingly accepted their children's choice to give themselves completely to the Lord.
At the age of 21 years, Pierre too decided to enter the seminary. Nine years later, with his brother Claude, he was ordained a priest of the Paris Foreign Missions (MEP) and immediately sent as a missionary to Cambodia.
On mission in Cambodia
On arriving in Phnom Penh, Fr. Rapin immediatley dedicated himself to mastering the Khmer and Vietnamese languages, as the Church in Cambodia was mostly established by Vietnamese immigrants. A year later he was sent on mission to Piem Chom, in the east, near the border with Vietnam.
For 10 years he devoted himself to the service of the Christian community there, committed to making known the Lord and His Gospel. He was also dedicated to improving the living condition of the people: he introduced the breeding of chickens and cultivation of vegetables, he created a cooperative for the breeding of silkworms.
Fr. Pierre was concerned with being as close as possible to his  Christians, often going to visit them. On one of these occasions, he ran into a very poor family and was struck by the small Ke, who because of poverty could not go to school. Fr. Rapin asked his mother's permission to take him back to his mission, and from then on the child became like a son for him.
In 1969 he was assigned to a new mission in the village of Ksach Proceh (today Kdol Leu), 40 km north of Kompong Cham, seat of the diocese. There a young Vietnamese priest, Peter Le Van Dung at Ksach Proceh, who had come to study the Khmer language. The Christian community numbered about a thousand: Vietnamese for the majority, and a hundred Khmer. On Sunday, before Mass, the two groups would pray separately in their native language and then gather together for the celebration of the Eucharist in Latin.
As he had done in Piem Cho, Fr. Rapin is dedicated himself to the human and spiritual development of Christians. He visited the sick and poor families. With the help of Ke he founded a chicken farm with several thousand chickens, the idea being to extend this activity to the entire village as a livelihood for families. A lady jokingly began to call him "Father Hen eggs ", a nickname that has stuck to this day!
There was also another Christian community, on the other side of the Mekong River, which Fr. Rapin was responsible for. This is the area of ​​Bong Ket, where there were several rubber plantations owned by the French colonizers. The small church, on Sunday, hosted an assembly of Khmer, Vietnamese and French faithful.Thus Fr.. Rapin gave his homily in three languages!
The war
He had not been in Cambodia even a year, when war broke out. General Lon Nol, backed by the Americans engaged in the war in neighboring Vietnam, taking power in a coup against the pro-communist King Sihanouk.
The mission's activities were severely curtailed, and as early as May 1970 the Khmer Rouge along with Vietkong, enemies of Lon Nol, invaded the Krouchmar area where Fr. Rapin worked. All of the French were forced to flee. Msgr. Andre Lesouef, the apostolic prefect of Kompong Cham, gathered his missionaries to decide what to do. It was decided that the younger priests were to go to Phnom Penh where the situation is calmer, while the older ones would be allowed freedom of choice.
Fr. Rapin returned to his village to seek the advice of his Christian community. He was undecided what to do, at first thinking it would be more appropriate to leave. However, when the community asked him to stay with them, he changed his mind. So he wrote  a note to Fr. François Ponchaud, who was just across the river at that time and was organizing the mass evacuation of Vietnamese Christians on a large barge (the Nationalist government of Lon Nol was becoming increasingly ruthless and calling on citizens to "kill the Vietnamese"). In the note, Fr. Rapin wrote: "The Christians have asked me to stay, it is God's will".
A few days later, the Khmer Rouge organize a camp in Kdol Leu. In June, a reconnaissance plane photographs Fr. Rapin in his house along with Vietkong soldiers. The plane flew over the area several times, the Khmer Rouge became suspicious and ratcheted up pressure on Fr. Rapin questioning him for an entire week.
In early August, the government air force started to carpet bomb the Krouchmar area, considered a hotbed of Vietkong and Khmer Rouge. The mission is hit several times: the church, rectory, school and the adjoining house of the Sisters of Providence ... everything is destroyed. The two priests go to live in a hut and support themselves with the proceeds of their poultry farm. Although the Khmer Rouge along with Vietkong have taken control of the area, Fr. Rapin and Fr. Le Van Dung are allowed to continue their ministry with people without any major problems.
The Mass is celebrated in homes with wine made from wild grapes. Once, even a bottle of champagne was smuggled out to them hidden in the "trunk" of a banana tree! In some cases the Vietkong allowed the two priests to cycle to visit Christians farther afield: Fr. Le Van Dung was permitted to go to Chhlong and Kratie where the Christians had been orphaned fo their priest, Fr. Cadour, killed a few months earlier. In January 1970 three Vietnamese nuns from the town of Snuol, close to Vietnam find refuge in Kdol Leu. Despite the school and convent having been destroyed, the nuns obtained permission to teach children in some huts.
In early 1972, the political situation worsened. The revolutionary forces seized the Bibles and forced Fr. Rapin to hand over the written text of each homily to be censored. The sisters are banned from providing any form of education. Fr. Rapin promises the Christians: "I will stay as long as there is even one of you!".
His death
On January 25, 1972 Fr. Michel Tan, a Vietnamese priest in charge of the community of Prek Kak, across the Mekong in front Kdol Leu, died. Officially he had a heart attack. That same day, Fr. Le Van Dung who had gone to visit the Christians of Kratie, is picked up by Vietkong soldiers. Fr. Le Van Dung realizes that his end had come and he put on his priestly robes. A few days after being imprisoned in a school, he was moved about 2 km outside the city. The night of March 21, he was led away with his hands tied. The next day, a Christian, who used to bring him food to eat, saw a man wearing Fr. Le Van Dung's clothes, but it was not the priest, who perhaps had been killed the night before.
In the night between February 23 and 24, 1972 a mine, planted by the Khmer Rouge, next to Fr. Rapin's hut exploded while he is sleeping. The missionary did not die but  his legs were seriously wounded. Having lost consciousness, Fr. Rapin called Ke, who was sleeping nearby, and asks: "Ke dear, what happened? They planted a bomb, didn't they? ". "Yes father - responds Ke - you know that they did it to kill you." "My son ... if those who wanted to kill me are captured, forgive them, do them no harm! Revenge is useless. Dearest son ... have faith in God ... I loved our Christians so dearly ... ".
At the sound of the explosion, the Christians were woken up with a start and, alarmed, wondered what happened. At the news that  Fr. Rapin had been targeted, they run to his hut. There they find the priest lying prostrate on the ground while Ke and his wife are desperately trying to save him.  Everyone wants to help. Someone picks up the pieces of cloth with Fr. Rapin's blood, and preserved them as the relics of a martyr.
The Khmer Rouge also arrived, forcing Christians to bring Fr. Rapin to Krouchmar hospital, and Ke along with other young people carry him on a stretcher to the hospital 9 km away. They arrived around 7 in the morning, three of them remaining with Fr. Rapin, while the others returned to the village to inform the rest of the people.
The doctors did not seem to want to bother with  the missionary, and only after the constant appeals of the Christians showed some interest prescribing a list of 30 drugs! The community galvanized themselves to raise funds to pay for the medicine and managed to cover the cost of at least 20. Fr. Rapin's condition improved, but only fractionally.
At 2 pm that afternoon, the Khmer Rouge arrived and took Fr. Rapin away with the claim that they could better care for the missionary but forbidding anyone from accompanying him. The Christians put up a strong opposition: "If there is no one with him, father surely die!". "You are just ungrateful! - some Vietkong violently respond - We want to help you and you can only complain". So the Khmer Rouge put Fr. Rapin on a trailer pulled by a bicycle and took him to their hospital.
But by 7 that evening they were already back to hand over the body of the beloved priest to his community. The Christians were deeply shocked because the missionary's condition had not been grave enough to indicate imminent death. Rumors began to circulate that Fr. Rapin had been injected with poison.
Fr. Rapin's body was carried to a small school that had been transformed into a makeshift mortuary chapel. Many Christians came to kneel before the mortal remains of their father who had given his life for them. The next day his body was buried in a nearby place.
From that moment on, the Ksach Proceh / Kdol Leu mission was without a pastor for more than twenty years. The Vietnamese Christians took refuge in Vietnam. Only the Khmer Christians remained forced underground, praying secretly in their homes or in the silence of the rice fields. Then in 1992, Msgr. Andre Lesouef, returned to Cambodia after the signing of peace treaties, and immediately dispatched catechists to resume contact with the Christians of Kdol Leu. Since then several priests, religious sisters and lay faithful have in turn contributed to resurrecting this community that seemed to have been destroyed.
Today the Kdol Leu mission is alive and growing. The blood shed by Fr. Rapin became the seed of live for new Christians. In 2001 Fr. Rapin's remains were exhumed and translated into a stupa in the new land of the mission.  Today they have found their final resting place in the funeral chapel dedicated to him, next to the church of Kdol Leu.
Thanks be to God.
by Luca Bolelli/Asia News  

Read also: http://www.asianews.it/news-en/Fr.-Pierre-Rapin,-martyred-under-the-Khmer-Rouge,-alive-in-Cambodia%E2%80%99s-Catholic-community-26784.html

Fr. Luca Bolelli, a native of Bologna and a priest of the Pontifical Institute for Foreign Missions, has been in Cambodia for eight years.

Aperto il processo diocesano di beatificazione dei martiri cambogiani - Agenzia Fides

Phnom Penh (Agenzia Fides) - La Chiesa cambogiana ha ufficialmente aperto la fase diocesana del processo di beatificazione di 35 martiri, uccisi o lasciati morire durante la persecuzione subita dalla Chiesa sotto il regime di Pol Pot e dei khmer rossi. Lo ha riferito all'Agenzia Fides p. Gustavo Adrian Benitez, PIME, Direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie per la Conferenza episcopale di Laos e Cambogia. I 35 sono morti tra il 1970 ed il 1977, e sono nativi di Cambogia, Vietnam e Francia.
Il Direttore delle POM informa Fides: “Si tratta del Vescovo cambogiano Joseph Chhmar Salas e di 34 compagni, tra preti, laici, catechisti, missionari, tra i quali alcuni membri della congregazione delle Missioni Estere di Parigi (MEP)”. La celebrazione di solenne apertura del processo si è svolta all'inizio di maggio a Tangkok, villaggio nella provincia di Kompong Thom, ed è stata presieduta dal Vescovo Olivier Schmitthaeusler MEP, Vicario Apostolico di Phnom Penh, alla presenza di numerosi fedeli, sacerdoti, religiosi, missionari, in rappresentanza di tutta la Chiesa cambogiana.
“Con l'inizio del processo, è stata creata una commissione che raccoglierà tutte le testimonianze sulla morte dei 35, alcuni uccisi, altri lasciati morire di fame e di stenti” spiega p. Benitez. L'apertura del processo “è importante a livello storico, perchè aiuterà i cambogiani a ricostruire la storia personale e le loro radici” afferma il Direttore, ma “ha soprattutto valore spirituale: la Chiesa in Cambogia, annullata negli uomini e nelle strutture, ha ripreso a vivere e a crescere". "Riguardando la situazione della Chiesa cambogiana prima, durante e dopo il regime di Pol Pot, si ha la certezza che quei pochi cristiani e martiri coraggiosi hanno mantenuto accesa la luce della fede. La grazia di Dio ha agito anche durante quegli anni bui. E sul sangue di questi martiri, oggi la Chiesa rinasce” conclude p. Benitez.
Una volta conclusa la fase diocesana del processo, se l'esito dell'istruttoria sarà ritenuto positivo, la documentazione verrà inviata in Vaticano, alla Congregazione per le cause dei Santi, che ne curerà la seconda fase. (PA) (Agenzia Fides 16/6/2015)

sabato 31 maggio 2014

La Cambogia vista con gli occhi di Tiziano Terzani. Inaugurata la mostra In Cambogia. Fotografie dell'Archivio Tiziano Terzani"

Viaggio in Cambogia con gli occhi di Tiziano Terzani


VENEZIA. Inaugurata in occasione della giornata di studi “Ricostruire la Cambogia dopo i Khmer Rossi. L’esperienza di vita e di lavoro di Onesta Carpenè”, negli spazi espositivi della Manica Lunga a Venezia, si visita fino al 2 giugno la mostra “In Cambogia. Fotografie dall’Archivio Tiziano Terzani”, a cura di Angela Terzani Staude e Giulia Martini. Comprende ventisei stampe fotografiche originali, una ventina di riproduzioni da negativi, provini autentici e documenti tra dattiloscritti ed estratti stampa dell’epoca. Il progetto nasce in circostanze particolari: grazie ad Angela Staude, vedova Terzani, è in fase di definizione la donazione dell’Archivio di Tiziano Terzani. La Fondazione ha già ricevuto la cospicua Biblioteca di interesse orientale, ricca di circa seimila volumi. L’Archivio è costituito da un’importante raccolta di materiali eterogenei, fondamentali per poter conoscere un mondo intensamente toccato dai grandi cambiamenti storici nel XX secolo. Vi sono tutti gli articoli, ritagliati, pubblicati in Der Spiegel, Repubblica, il Corriere della Sera, l’Espresso, il Giorno, il Messaggero e documenti di accompagno, foto, negativi, appunti, diari; corrispondenza professionale e personale; vecchie macchine da scrivere e fotografiche, carte geografiche, passaporti.
La selezione di immagini e documenti presentata all’interno della mostra riassume una parte di quanto prodotto da Terzani durante il viaggio in Cambogia del 1980. I reportage dalla Cambogia del giornalista fiorentino, che nel 1972 arriva a East of Aden come corrispondente di guerra per il settimanale tedesco Der Spiegel, coprono un arco di circa 25 anni, dall’inizio dei Settanta fino agli anni Novanta del secolo scorso. Questi documenti scandiscono tutti i capitoli della tragedia cambogiana: il colpo di stato contro Sihanouk, i bombardamenti americani, la guerra civile, i crimini di Pol Pot, la confusa e ingovernabile migrazione dei profughi, la liberazione vietnamita, il fallimento delle Nazioni Unite. Tra le varie occasioni in cui Terzani visita la Cambogia per realizzare i suoi dispacci, il viaggio del 1980, oggetto del lungo reportage “Sento ancora le urla nella notte” pubblicato da Der Spiegel nell’aprile dello stesso anno, è sicuramente il più significativo: un’esperienza drammatica, che lo spingerà più tardi a scrivere “quanto ci eravamo sbagliati”. Dopo aver riportato le prime testimonianze sulla tempesta polpottiana attraverso i racconti dei rifugiati che cercavano di passare il confine tra Cambogia e Thailandia, nel marzo del 1980 Terzani riesce finalmente a entrare nel paese, per vedere con i propri occhi “quel tanto di orrore” che solo la realtà riserva.
Tre settimane, 1500 chilometri percorsi e 19 province visitate. Quello che Terzani attraversa non è solo un paese sfigurato dalla guerra, che pure conserva sempre la grande vivacità respirata negli anni Settanta. Non sopravvivono che “i fantasmi” e “gli scheletri delle cose” rimasti dopo le distruzioni. Nelle fotografie emerge il racconto di una precisa e terribile testimonianza, già resa nota a parole e qui riproposta attraverso gli occhi e l’obbiettivo di Tiziano Terzani. “In Cambogia. Fotografie dall’Archivio Tiziano Terzani”Venezia, Isola di San Giorgio Maggiore, Nuova Manica Lunga della Fondazione Cini. Orario: Lunedì - Venerdì: 9 - 16.30 per gli utenti delle Biblioteche della Fondazione Giorgio Cini. Sabato e Domenica: solo tramite il servizio di visite guidate della Fondazione Giorgio Cini. 


martedì 30 luglio 2013

In Cambogia l'opposizione avanza ma Hun Sen resta saldamente al potere

All'indomani delle elezioni legislative del 28 luglio scorso, il PPC, il partito al potere nel regno di Cambogia, resta saldamente alla guida del piccolo paese indocinese. Guidato dal Primo ministro Hun Sen, il più longevo dei dirigenti asiatici (è al potere dal 1985), il Partito del Popolo Cambogiano (Cambodian People's Party) conquista in Parlamento 68 seggi su 123, mentre il suo principale oppositore, il Partito di Salvezza Nazionale della Cambogia (CNRP), coalizione nata dalla fusione tra l'omonima formazione di Sam Rainsy e lo Human Rights Party (HRP) di Kem Sokha, conquista i restanti 55 seggi, in una competizione politica che si polarizza a danno degli altri partiti in lizza.
Il Primo ministro Hun Sen 
Nonostante la vittoria gli assicuri il controllo del Paese, il partito di Hun Sen passa dai 90 seggi delle elezioni del 2008 ai 68 di oggi, mentre il partito di Sam Rainsy quasi raddoppia la sua presenza in Parlamento. I risultati ufficiali sono però stati contestati dall'opposizione, che ha chiesto in una conferenza stampa tenutasi ieri a Phnom Penh, l'apertura di una commissione d'inchiesta - composta da membri dei due partiti in lotta e da personalità della società civile - che faccia luce sulle numerose irregolarità che avrebbero caratterizzato lo scrutinio di domenica scorsa. I risultati ufficiali, ha dichiarato Sam Rainsy, "non riflettono la volontà popolare, ma la deformano". Secondo il leader dell'opposizione, circa il 15% dei potenziali elettori non avrebbero potuto esercitare il diritto di voto, così da nascondere la realtà di un partito al potere che in realtà sarebbe testa a testa con l'opposizione. Se l'inchiesta dovesse condurre a dei rovesciamenti nella tendenza di voto in alcune zone, il CNRP chiederà che si ripetano elezioni parziali. Sam Rainsy, auspicando che la sua domanda di una commissione d'inchiesta sia accolta, ha aggiunto che ormai la conduzione del Paese va fatta in accordo con la sua formazione politica, dal momento che "i rapporti di forza sono cambiati". Resta il dato politico di elezioni legislative che si caratterizzano per una polarizzazione fra il partito al potere, premiato nelle zone rurali, e un'opposizione espressione dei giovani e degli intellettuali, scelta dagli elettori della capitale Phnom Penh e degli altri centri urbani.

venerdì 5 luglio 2013

La storia di Peuw: una finestra sulla Cambogia

Nel 1986 fu pubblicato da Einaudi in prima edizione italiana Les pierres crieront. Une enfance cambodgienne, 1975-1980, uscito due anni prima  a Parigi. Il racconto di Peuw bambina cambogiana (1975-1980) racconta le vicende tormentate di Peuw, una bambina di dodici anni e mezzo all'inizio della storia, scampata miracolosamente alla morte insieme ai suoi tre piccoli cugini durante gli anni della dittatura dei Khmer rossi, dall'evacuazione nell'aprile 1975 della capitale Phnom Penh all'arrivo in Francia, dove viene adottata da una coppia francese che le dà il nome di Molyda Szymusiak. Il volume fu "tradotto e presentato da Natalia Ginzburg", la quale scrisse nella prefazione al volume (pp. VIII-IX): "Ho amato e tradotto Il racconto di Peuw, bambina cambogiana, senza saper niente sulla Cambogia e chiedendomi perché, nel corso della mia vita, non avevo mai pensato alla Cambogia né avevo letto mai niente che si riferisse a questa terra", per poi concludere: "In verità le terre a cui non ho mai pensato sono innumerevoli, ma riguardo alla Cambogia ho provato, nell'accorgermi di non saperne assolutamente nulla, un senso di colpa e un senso di dispiacere". Appena mitigato dalla consapevolezza d'essere in buona compagnia ("interrogando molte persone intorno a me - prosegue Ginzburg - ho constatato che non molti erano quelli che conoscevano le vicende della Cambogia, in Italia"), il senso di colpa provato dalla scrittrice nasceva dal riconoscere come gli intellettuali di sinistra di allora avessero guardato alla rivoluzione dei Khmer rossi con entusiasmo e partecipazione, salvo poi chiudere gli occhi dinnanzi a ciò che stava realmente accadendo nel
Paese. Onestamente l'autrice di Lessico famigliare si chiedeva il perché del silenzio di coloro che in Europa sapevano cosa stesse realmente accadendo nel piccolo Paese indocinese, come del perché i racconti dei profughi cambogiani giunti in Thailandia non fossero creduti o fossero taciuti. Il dispiacere provato, infine, nasceva dalla partecipazione alle vicende raccontate da Peuw, nuova Anna Frank ma scampata come Primo Levi all'abisso in cui i quasi otto milioni di cambogiani furono scaraventati fra il 17 aprile 1975, giorno nel quale le truppe dei guerriglieri bambini di Pol Pot fecero il loro ingresso nella capitale, rovesciando il governo filoamericano del generale golpista Lon Nol, ed il 7 gennaio 1979, data che segna la liberazione di Phnom Penh da parte dell'esercito vietnamita. Nei tre anni e otto mesi intercorsi, nella "Kampuchea democratica" le città, simbolo di uno stile di vita corrotto, furono evacuate e la popolazione deportata nelle campagne: l'intento era quello di instaurare una sorta di comunismo rurale basato su tecniche agricole medievali. Le pagode vennero abbattute e le scuole chiuse, i monaci come gli intellettuali (insegnanti, medici, artisti, ma era sufficiente indossare un paio di occhiali per perdere la vita) sistematicamente eliminati. L'economia crollò e il riso venne a mancare, provocando nella popolazione lo scoppio di epidemie di colera e di malaria. Impiegati nei lavori forzati nelle campagne, decimati dalla fame e dalla malattia, oltreché vittime delle epurazioni dei Khmer rossi, circa 1.671.000 cambogiani morirono fra il 1975 e il 1978, vale a dire il 21% della popolazione stimata nell'aprile 1975, il cui numero si aggirava attorno alle 7.890.000 unità (Ben Kiernan, The Pol Pot Regime).
Nel dicembre del 1986 compivo 24 anni e gli studenti della "Classe dei Cambogiani" mi regalarono naturalmente una copia del "racconto di Peuw", che conservo gelosamente: una bella dedica sul frontespizio, scritta da Kosal, quasi mio coetaneo, dice: "Noi siamo conosciuti da più di due anni (mesi, in realtà) ma amicizia molto grande come il mondo e speriamo che l'amicizia sempre così e lungo per sempre". Attorno le firme degli studenti in almeno tre alfabeti. Non occorre sottolineare come la lettura del Racconto di Peuw, bambina cambogiana fu un'ulteriore rivelazione che provocò in me una grande simpatia per questo popolo sfortunato, vittima dei suoi aguzzini interni ma anche dell'indifferenza di comodo dell'Occidente, stretto fra ignoranza ed ipocrisia. La storia di Peuw contribuì a rompere quell'indifferenza, dando un volto di bambina alla lontana vicenda cambogiana.